La Nuova Sardegna

Nanni Terrosu: «Così tirai fuori le Schild dall’inferno dei vivi»

Piero Mannironi

Il vecchio leader dc narra in un libro come condusse nel 1979 le trattative per il rilascio delle due inglesi. Le pressioni della Thatcher e l’intervento dell’allora presidente del consiglio Francesco Cossiga

14 settembre 2007
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OZIERI. I nomi, in fondo, non sono importanti. Perché ciò che conta alla fine è il dramma e non le persone che lo determinano. La filosofia di Nanni Terrosu oggi è dunque questa: sfogliare le pagine della memoria, avendo cura di non riaprire antiche ferite. Eppure dicendo, raccontando. Perché è sempre importante ricordarsi di ricordare. La sua scelta è quindi quella di storicizzare, ripercorrendo nel suo ultimo libro - La strada del destino - i capitoli della sua vita che la sorte ha voluto si incrociassero con la storia oscura dei “ladri di uomini”. Fino a sfiorare il cuore di tenebra della Sardegna. Legatissimo all’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e a leader politici autorevoli come Paolo Dettori e Nino Giagu, Terrosu ha declinato per decenni il codice del potere democristiano. Quello più vero e profondo, che si nutriva del consenso popolare grazie a una sorta di paternalismo interclassista, ma che era anche capace di buona amministrazione. Come Nanni Terrosu dimostrò, restando al timone della sanità ozierese per oltre trent’anni, facendo diventare l’ospedale della città un gioiello di tecnologia e di efficienza. Forse non amato, ma sicuramente rispettato, Terrosu era una figura che stava in mezzo tra il notabile e il “dittatore dolce”. Un intoccabile, un uomo di potere e di clientela, ma certo un uomo onesto.

 LO 007 DEL SIFAR. Lui, possidente e allevatore di mestiere, è sempre stato uno di quegli uomini capaci di penetrare nel mondo più segreto delle campagne, in grado di annodare i fili invisibili di rapporti ritenuti impossibili. Così, negli anni Sessanta, diventò mediatore di un incontro fra uno dei più noti latitanti sardi e un agente del Sifar (l’allora servizio segreto militare). La missione dello 007 era quella di convincere il bandito a costituirsi.
 «Mi arrabbiai moltissimo - ricorda Terrosu con un sorriso divertito - quando scoprii che quell’uomo aveva nascosto nell’auto un mitra. Era nervosissimo e io gli dissi: “Ma è pazzo? Guai a lei se tocca quell’arma!”. Quando arrivammo all’appuntamento in campagna, nel Nuorese, venimmo accolti da quattro uomini armati e mascherati e mi ci volle un pochino per calmare l’agente. Poi, arrivò il latitante e i due si appartarono per parlare. Come andò a finire? Come immaginavo: che l’agente segreto non riuscì a convincere il bandito a costituirsi».
 Terrosu, dunque, era capace di trovare, fra le pieghe di un mondo oscuro, anche gli interlocutori giusti per sbloccare un sequestro di persona. Come accadde nel lontano 1979, quando il suo amico e compare Francesco Cossiga, allora presidente del Consiglio dei ministri, gli chiese di intervenire per riportare a casa due donne inglesi: Daphne Schild e la figlia Annabel, rapite dalla loro villa di Punta Sardegna la sera del 22 agosto di quell’anno.
 «Non potevo dire di no al mio amico Francesco» dice Terrosu. Il tempo ha scavato il suo viso, ma gli occhi sono sempre gli stessi: mobilissimi e ogni tanto lanciano sguardi che sembrano folgori. «Era un periodo per me davvero difficile - continua Terrosu -: mia moglie, gravemente malata, stava già percorrendo quel doloroso calvario che poi la portò alla tomba. Ma fu proprio lei, la mia Giovanna, a spingermi ad accettare la richiesta che arrivava da compare Francesco. Mi disse infatti: “Vai, fai quello che puoi. C’è quella povera famiglia che ha bisogno del tuo aiuto. Non preoccuparti per me”. C’era poi anche un punto d’onore: quei banditi avevano gettato fango sulla Sardegna davanti agli occhi di tutto il mondo. La sentivo come un’offesa a quello che noi sardi siamo».
 Ma chi erano questi Schild? Come mai Cossiga, il capo del governo di allora, si spinse tanto avanti da intervenire direttamente nella vicenda, chiedendo l’intervento del suo amico di Ozieri? «Era gente che contava molto - dice Terrosu - che aveva legami molto stretti con il primo ministro inglese di allora, Margaret Thatcher. Il cognato di Rolf Schild era infatti cognato della “Lady di ferro”. Pensi che in quei mesi la Thatcher telefonava a Cossiga addirittura due volte al giorno».

 UN UOMO DISTRUTTO. Rolf Schild, per dire la verità, non era inglese di nascita, ma tedesco. Era nato infatti a Colonia nel 1924. Fuggì in Inghilterra nel 1939 per non finire in un campo di sterminio. Era infatti ebreo. La sua famiglia venne decimata nelle camere a gas di Chernow. Nella sua seconda patria Rolf Schild diventò un apprezzato uomo d’affari: nei primi anni Cinquanta fondò la società SE Technology che, successivamente, diventerà Huntleight Technology, specializzata nella progettazione e costruzione di sofisticate macchine per la diagnostica medica.
 «Incontrai Rolf Schild nell’autunno 1979 - dice Terrosu -. L’ingegnere era stato liberato dai banditi per facilitare la raccolta della somma necessaria per liberare la moglie Daphne e la figlia Annabel. Era distrutto. Davvero difficile dimenticare il volto disperato di quell’uomo che aveva improvvisamente smarrito le cose più importanti della propria vita. Mi misi subito in moto, cercando di trovare i canali giusti per arrivare alla trattativa».
 E qui ecco che comincia a definirsi meglio la fotografia di una stagione della storia dei sequestri che oggi appare lontanissima. E cioé quello che accadeva prima della legge del 1991, conosciuta come la norma della “linea dura”. In quel 1979 Terrosu comincia infatti a muoversi sì con cautela e con discrezione, ma agisce sempre all’interno dei confini della legalità. E’ addirittura il capo del governo che chiede il suo intervento...
 Non basta: Terrosu mantiene sempre vivo il legame con la magistratura. O, meglio, con un magistrato. Luigi Lombardini, che concluderà tragicamente la sua vita sparandosi un colpo di revolver in bocca, la sera dell’11 agosto del 1998, nel suo studio al palazzo di giustizia di Cagliari, travolto dall’inchiesta della procura di Palermo sul un troncone di indagini del sequestro di Silvia Melis. «Lo ricordo con grande rispetto e affetto - dice lentamente Nanni Terrosu - e la sua fine è stata una grande perdita. Nel caso Schild il lavoro di Lombardini fu decisivo e severo». Il vecchio patriarca di Ozieri preferisce non affondare il bisturi nella memoria, ma fa capire chiaramente che fu proprio Lombardini ad aprire un piccolo varco che consentì poi a Terrosu di trovare il canale giusto nella trattativa per il rilascio di Daphne e Annabel Schild. E quel varco si creò probabilmente con l’arresto di alcuni personaggi. Arrivò la richiesta di riscatto: 500 milioni di lire, una somma allora davvero notevole.
 «La mia casa - continua Terrosu - divenne il luogo di attesa di un magistrato, dell’ingegner Schild e del console inglese. Che dire, furono mesi nei quali non mi toglievo neppure le scarpe...».

 LA DIPLOMAZIA SEGRETA. Dice un antico detto barbaricino: «Nulla è più noto di ciò che deve essere segreto». Un ossimoro che è diventato quasi un luogo comune, ma che non può certo essere banalizzato. Perché è una frase che invece si porta dentro un concetto complesso e comunque non facile da capire nel suo significato profondo. Perché, in questo caso, «noto» non significa «pubblico». Può sembrare una sfumatura, ma non lo è per nulla. E questo perché esistono luoghi dove certe cose, pur conosciute per necessità, per caso o più semplicemente perché è difficile nasconderle in realtà minute, appartengono a una realtà condivisa, a una regola di convivenza dove il delicato equilibrio tra il sapere e il dire può diventare una discriminante tra la vita e la morte.
 E Terrosu queste cose segrete percepisce in un lungo e faticoso peregrinare per le strade e i paesi della Barbagia e del Goceano. Vecchi amici, compari, amici degli amici: ripercorre una fitta rete di rapporti familiari e umani che possono riferire una voce, un indizio prezioso. «Viaggiavo la notte - dice - cercando di ricordare anche le piccole cose che avevo impresso nella mente, i posti presumibili della prigionia delle due donne, i possibili trasferimenti, qualche nome sussurrato a mezza voce».
 Così Terrosu riesce a sapere che le due donne erano state separate e che i banditi volevano sollevare il prezzo del riscatto. Poi, l’incontro notturno con un latitante che decide di aiutarlo. «Ci vedemmo a poche centinaia di metri dal suo paese - prosegue Terrosu -. Mi disse che aveva deciso di costituirsi perché la moglie era malata, ma che, prima di consegnarsi, aveva pensato di darmi una mano. Poi aggiunse: “Trattandosi di un amico quale tu sei, posso dirti verità sull’attuale situazione e sui progetti del branco. Sappi che le due donne non sempre sono assieme. Chiederanno, a quel che mi risulta, un altro mezzo miliardo e restituiranno solo la madre, tenendosi come ostaggio la ragazza”. Proseguì consigliandomi di contattare una persona e mi disse di riferirgli, a nome suo, che non era possibile avere altro danaro».

 LA LIBERAZIONE. Ma Rolf Schild era un uomo disperato ed era disposto a cercare altri soldi per liberare la moglie e la figlia. «In un incontro con lui, con il dottor Lombardini e con l’ambasciatore inglese - dice Terrosu - passò la mia linea: non una lira di più». E arrivò il momento della svolta, dopo un abboccamento con un misterioso individuo nel gennaio del 1980. Così, dopo qualche giorno, Terrosu andò a un appuntamento, nella zona di Frida, e i banditi gli consegnarono Daphne Schild.
 «Facemmo la discesa senza dirci una parola - dice Terrosu -. La donna era stremata e indossava ancora il vestito estivo che aveva quando era stata sequestrata e un paio di pantaloni di velluto. Quando, dopo qualche minuto cercai di rassicurarla, mi disse piano: “Grazie”».
 Daphne Schild venne accolta in casa di Terrosu dove restò nascosta per qualche giorno e qui potè riabbracciare il marito.
 Per la liberazione di Annabel si dovette attendere fino al 21 marzo. Ancora abboccamenti e trattative attraverso la mediazione di amici e uomini di buona volontà. Infine la telefonata che sbloccava la situazione: l’appuntamento era al bivio di Oniferi, vicino alla cantoniera di Donna Cori. «Ci andai con mio figlio - dice ancora Terrosu - e dopo una lunga attesa e qualche momento di paura, finalmente ci consegnarono la ragazza. Poverina, capì di essere libera solo quando arrivammo a casa, a Ozieri, e vide sul letto i suoi vestiti puliti. L’unica fermata del viaggio di ritorno la facemmo ad Anela per informare al telefono il presidente Cossiga».
 «Ogni 21 marzo - conclude Terrosu - mi arriva da Londra una corbeille di fiori con un biglietto: “Grazie, non ti dimenticheremo mai”».
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