La Nuova Sardegna

Tutta la Sardegna nelle 6000 pagine dell'«Enciclopedia»

Manlio Brigaglia
Tutta la Sardegna nelle 6000 pagine dell'«Enciclopedia»

Seimila pagine dove c'è tutta la Sardegna, o meglio tutto quello che la riguarda, che può essere utile sapere o che può venire in testa di chiedere

10 ottobre 2007
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Enciclopedia? Cominciamo dal dizionario o da un’altra enciclopedia. La parola deriva da un errore: quando i Greci dicevano «enkyklios paidéia» volevano dire «istruzione circolare», cioè formazione del fanciullo a, come diremmo noi oggi, 360 gradi. Pare che il primo ad avere usato il termine nel suo significato contemporaneo, che sarebbe «opera in cui sono raccolte e ordinate sistematicamente nozioni di tutte le discipline o di una disciplina in particolare», fu il solito tedesco (si chiamava J. H. Alsted) che nel 1630 pubblicò un libro intitolato «Scientiarum omnium encyclopaedia», cioè, superbamente, «Enciclopedia di tutte le scienze».

E allora che cosa c’è, ci può essere, in una «Enciclopedia della Sardegna» - come questa che la «Nuova» annuncia - che viene, e che, forte di dieci volumi, sarà poi in vendita con il quotidiano per nove settimane consecutive? Risposta: c’è tutta la Sardegna, o meglio tutto quello che riguarda la Sardegna e che può essere utile sapere: o che, infine, può venire in testa di chiedere.

Un’enciclopedia, come si sa, è fatta per «lemmi», cioè per voci: a ogni voce un personaggio, un fatto, una cosa. In questa della «Nuova» ce ne sono dodicimila. La cifra dice da sola dell’imponenza, anzi dell’ambizione dell’opera. (Un divertimento che è proprio di tutti i lettori di enciclopedie è di andare a vedere che cosa ci manca in un’opera di cui gli autori dicono che c’è tutto: non mancherà di succedere anche per questa che stiamo annunciando, e anzi tutte queste segnalazioni di errori e/o assenze non potranno che aiutare a migliorarla). Non per niente alla parola enciclopedia è stato premesso, magari un po’ spudoratamente, l’aggettivo «grande». Fuori dallo scherzo, quell’aggettivo non è un’esagerazione. Intanto perché enciclopedie sulla Sardegna, soprattutto negli ultimi cinquant’anni, se ne sono tentate molte: ma nessuna è andata oltre i tre volumi, nessuna s’è mai nemmeno avvicinata alle più di 6000 pagine che compongomo questa nostra. Facciamo un altro piccolo calcolo: siccome in ogni pagina ci stanno intorno ai 5000 caratteri, questa Enciclopedia è grande anche perché, con le sue 6 000 pagine, corriponde a sessanta (dicesi sessanta) libri «normali» da 250 pagine l’uno. In secondo luogo è grande proprio perché ci si è messi l’obiettivo di far stare, dentro queste pagine, tutto quello che è sardo o che in qualche modo riguarda la Sardegna. Detto fra parentesi, questo ha creato più d’un problema a molti di coloro che hanno lavorato all’opera, sotto la direzione del professor Francesco Floris, non nuovo a esperienze di questo tipo, dalla sua «Storia della nobiltà in Sardegna» (scritta insieme al compianto Sergio Serra, il più conosciuto degli araldisti sardi) sino a una «Grande Enciclopedia della Sardegna», pubblicata alcuni anni fa dalla Newton & Compton: un solo volume, che però in qualche modo ha fatto da base a questa «Enciclopedia» della «Nuova».

Confesso il mio peccato. Anch’io ho fatto una cosa così: si chiama «La Sardegna» e ha la parola «enciclopedia» nel sottotitolo. Pubblicata per la prima volta una ventina d’anni fa dalle cagliaritane Edizioni Della Torre e più volte ristampata e aggiornata sino agli attuali tre volumi, ha come curatori, insieme con me, due miei amici carissimi, ognuno dei quali è per suo conto uno dei maggiori esperti italiani, non solo sardi, della disciplina di cui si occupa: i nomi di Antonello Mattone e di Guido Melis sono ben conosciuti ai lettori della «Nuova», non c’è bisogno di aggiungere altro. Di quella enciclopedia - perché non dirlo? - sono ancora orgoglioso: fu fatta con pochi mezzi ma con molta amicizia, non tanto per i vorticosi brain storming (sarebbe la tempesta di idee, in realtà erano grandi affarratori di noi tre curatori intorno a un tavolo sommerso di inesplorabili piramidi di carte) quanto per la velocità con cui i 120 studiosi sardi, italiani (per dire non sardi) e stranieri risposero al nostro invito, da Maurice Le Lannou, per dirne solo due, a Giovanni Lilliu. Ci capitò anche di dire a un intellettuale sardo di fama internazionale che la sua «cosa» non andava bene: non si offese, ci capì e scrisse un bellissimo pezzo per il terzo volume. Fine delle memorie: ma certo fu un’esperienza indimenticanbile, amabilmente supportata da quell’acuto uomo d’affari culturali (o editoriali, se è la stessa cosa) che è Salvatori Fozzi, il patron delle Edizioni Della Torre, della cui preziosa collaborazione - del resto - questa «Enciclopedia» della «Nuova» ha potuto servirsi.

La prima domanda che si mette uno che si accinge a fare un’enciclopedia è: chi ci mettiamo? Attenti: non tanto «cosa ci mettiamo», perché lì si sa che c’è un intero universo (regionale: è vero che la Sardegna è quasi un continente, ma, insomma, è un continente con i suoi bei confini) da schedare e mettere in ordine alfabetico; ma «chi», cioè le persone, morte e soprattutto vive, che hanno diritto ad esserci. In un progetto di una decina di anni fa che era poco meno il prototipo di una enciclopedia davvero grande, l’editore non voleva mettere i consiglieri regionali (magari senza volerlo, aveva inventato l’antipolitica): in questa enciclopedia della «Nuova» ci sono tutti, dal 1949 ad oggi, ognuno con la sua scheda e la sua storia. Dunque: ci sono tutti. Per esempio, fra gli scrittori, quelli che hanno scritto almeno un libro. E gli ultimi dati dicono che in Sardegna, dal Cinquecento sino a oggi, sono state scritte e stampate più di sessantamila opere.

Ultima e fondamentale caratteristica di questa «Encilopedia» della «Nuova»: se è vero che non possiamo non dirci sardisti, l’enciclopedia è fortemente sardista, nel senso che privilegia tutto quello che più nitidamente e più radicalmente appartiene a quella che chiamiamo «l’identità» sarda. Un esempio per tutti: l’importanza che viene data a tutti i poeti in lingua sarda, ai «cantadores», al canto a chitarra, agli improvvisatori, alla musica popolare a ai suoi strumenti «storici». Se non fosse uno slogan già usato, «La Sardegna: tutto, di più» calzerebbe come un guanto.
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