La Nuova Sardegna

Commessa da 13 miliardi di euro, il governo Monti deve ancora definire la sua posizione

Scanu: gli F35 non servono all'Italia

Pier Giorgio Pinna
Gian Piero Scanu (a destra) capogruppo del Pd nella commissione Difesa del Senato
Gian Piero Scanu (a destra) capogruppo del Pd nella commissione Difesa del Senato

Il senatore Pd contrario all'acquisto di 131 caccia. «Difesa, questione europea»

16 gennaio 2012
4 MINUTI DI LETTURA





 ROMA. F35 in Sardegna? Forse dovrà passare ancora parecchio tempo prima che qualche caccia di ultima generazione sfrecci nei cieli dell'isola. Come può darsi che questi velivoli, ultramoderni ma con più di un difetto da eliminare, non atterrino mai a Decimomannnu e non sparino i loro missili aria-terra nel mare davanti a Capo Frasca neppure in qualche wargame.  Nel frattempo si fa però incandescente il dibattito sotterraneo in Parlamento. E su diversi obiettivi. Intanto, sul programma italiano per l'acquisto di 131 bombardieri (sì, avete letto bene: 131). Poi, sul ridisegno del progetto per la difesa nazionale. Quindi, sull'impronta d'attacco più che di reazione ad aggressioni esterne connessa alle stesse caratteristiche degli F35. Infine, sui colossali costi di una commessa del genere: più di tredici miliardi di euro.  Un passo indietro consente di capire meglio. Il piano previsto qualche anno fa dai vertici della Difesa stabiliva l'acquisto dei caccia Made in Usa e lo stanziamento di cifre equivalenti a una manovra finanziaria.  Questi aspetti e altre perplessità, nate a cominciare dai test deludenti per l'atterraggio verticale sui ponti d'unità militari di media lunghezza, hanno indotto a maggiore cautela all'inizio dello scorso dicembre.  Dopo che nel governo Berlusconi si è a lungo parlato di sanzioni per il mancato rispetto degli impegni stipulati per la ventilata commessa con la Lockeed Martin, si è scoperto che in realtà non esiste alcuna penale. Ma che succederà con Monti e Giampaolo Di Paola subentrato a La Russa?  Ci sarà una discontinuità? Oppure l'incarico di presidente del Comitato militare Nato sino a due mesi fa ricoperto dal nuovo ministro porterà a conclusioni ancora diverse?  Su questa situazione, anche alla luce di possibili ricadute sulle basi sarde, fa il punto Gian Piero Scanu, al Senato capogruppo per i democratici nella Commissione difesa e membro di quella per l'uranio impoverito.  - Che cosa non quadra in questa storia?  «Una premessa, innanzitutto. Sulla questione, negli ultimi anni, ogni ministro che s'insedia dichiara di avere un'idea diversa da chi lo ha preceduto. Di Paola non si è ancora espresso. Ma un dato appare evidente fin da queste settimane».  - Quale?  «Non si può parlare degli F35 senza parlare prima di come rivedere il nostro modello di difesa. Tra aviazione, esercito e marina oggi abbiamo 190mila effettivi e spese annuali pari a 15 miliardi di euro (con i carabinieri si arriva a 22). Bene, il quesito allora è questo: come si colloca la possibilità di comprare i 131 caccia con i compiti che attendono l'Italia?».  - Già, come: lo dica pure lei?  «Esistono disegni legislativi di riforma dei paradigmi di riferimento seguiti sinora depositati sia alla Camera sia al Senato (dove io sono il primo firmatario dell'iniziativa). È il segno della condivisa esigenza di rivedere le cose: nel panorama attuale non sussiste più un problema di difesa in chiave nazionale, il punto va affrontato e risolto su scala europea».  - Per quale ragione?  «Non c'è alternativa all'ipotesi di lavorare a una comune Difesa europea, con quella che i tecnici chiamano "cooperazione rafforzata". Allora: non più 27 eserciti, 27 aviazioni, 27 marine: uno per ogni Stato membro, come ora. Si devono creare nuove sinergie tra tutti i Paesi e considerare la Ue come soggetto forte, titolare della possibilità di un'azione congiunta per raggiungere questo target».  - L'acquisto degli F35 come si porrebbe in un contesto del genere?  «Intanto va precisato che parliamo di caccia concepiti per venire usati in scontri da top gun simili a quelli che siamo abituati a vedere in certi film d'azione. Per far che? L'Italia punta a diventare una potenza regionale mediterranea? Ci sono da parte nostra mire di supremazia o di primazia? Fra l'altro, così, si delineerebbero scenari di attività belliche in netto contrasto con l'articolo 11 della Costituzione».  - Quindi?  «Secondo noi senatori democratici sarebbe preferibile rinunciare all'acquisto degli F35 e dichiararlo subito, in modo che non ci siano ambiguità o incertezze. Il percorso da seguire è invece un altro: assemblare il meglio delle diverse tecnologie Ue, implementandole e puntando sui prototipi di caccia intercettori Eurofighter».  - E l'isola che ruolo avrebbe? Sempre quello di piattaforma militare nel Mediterraneo?  «In realtà dovrebbe essere chiamata anche in questo campo alla progressiva smilitarizzazione. Con nuove dislocazioni delle caserme. Con un avvicinamento dei nostri soldati alle zone di provenienza: se l'ottanta per cento delle forze armate italiane è formata da militari del Sud, l'isola è percentualmente la più rappresentata. E con la chiusura di due dei tre poligoni. Il dibattito - in parlamento, all'interno del governo e fuori - dirà poi se le cose andranno davvero così».  

© RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
La polemica

Pro vita e aborto, nell’isola è allarme per le nuove norme

di Andrea Sin
Le nostre iniziative