La Nuova Sardegna

Il pm: ergastolo per il postino di Ardara

di Luca Fiori
Il pm: ergastolo per il postino di Ardara

Giovane allevatore ucciso in piazza, l’accusa ha chiesto il massimo della pena nonostante il rito abbreviato

09 giugno 2012
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SASSARI. Ergastolo, per aver ucciso a bruciapelo Antonio Soro un compaesano - di soli 21 anni - che cercava di fuggire per le vie di Ardara per salvarsi la pelle. Carcere a vita, per aver tentato subito dopo di freddare, oltre al fratello della vittima, anche i carabinieri, che per disarmarlo avevano dovuto sparargli alle gambe. Sono troppe le aggravanti, a partire dai futili motivi che avevano armato la sua mano, per consentire a Sebastiano Foe, noto «Ciano», postino di 50 anni ed ex assessore comunale, di beneficiare dello sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato. Ne è convinto il pubblico ministero Roberta Pischedda che ieri mattina ha chiesto al giudice delle udienze preliminari del tribunale di Sassari, Carla Altieri, di infliggere la pena più pesante prevista dal codice penale al portalettere di Ardara che la sera dell'11 ottobre scorso freddò con una fucilata all'addome Antonio Soro, suo conoscente, dopo una discussione da bar senza senso. E prima che arrivassero i carabinieri, per le strade del paese, nel frattempo trasformatosi in un set da film western, aveva annunciato l'intenzione di ammazzare anche il fratello di Antonio, Domenico, per lo stesso motivo: gli aveva dato fastidio in un circolo, tra un bicchiere e l'altro, mancandogli di rispetto e prendendolo in giro davanti ad altri compaesani. Alla pesante richiesta di condanna del pm - che tiene conto anche delle minacce aggravate che il portalettere pronunciò imbracciando il fucile - si sono opposti i difensori di Sebastiano Foe: gli avvocati Sergio Milia e Maria Claudia Pinna. I legali dell’imputato hanno chiesto al giudice di considerare le attenuanti generiche e condannare Foe al minimo della pena. Il 6 luglio prossimo, dopo le repliche di accusa e difesa, il gup entrerà in camera di consiglio per prendere una decisione. Ieri mattina, intanto, la madre e tre dei quattro fratelli della vittima, costituitisi parte civile con gli avvocati Pinuccio Mele e Pasqualino Federici, hanno chiesto al giudice di condannare «Ciano» Foe anche al pagamento di un risarcimento di centomila euro ciascuno. La sera dell’11 ottobre scorso Sebastiano Foe, postino a Sassari, aveva bussato a casa di Antonio Soro pochi minuti dopo un litigio nel circolo dove entrambi stavano bevendo da ore. Quando il giovane aveva aperto la porta lo aveva freddato con una sola fucilata all'addome, con la sua doppietta. Un colpo ravvicinato che aveva devastato il corpo del giovane che lavorava in campagna. Poi aveva infierito sul cadavere poggiando la scarpa sul corpo senza vita: «Dov'è tuo fratello?» aveva chiesto a gran voce. L'omicidio era avvenuto in via Comita, a pochi passi dal municipio. Domenico Soro si era allontanato per un bisogno fisiologico e questo gli aveva salvato la vita. Sebastiano Foe aveva iniziato a cercarlo, girando come una belva alla ricerca della sua preda. Il portalettere aveva risalito corso Vittorio Emanuele, poi si era fermato in piazza Santa Croce, davanti alla chiesa. Un amico lo aveva visto con il fucile in mano e lui, per niente preoccupato, gli aveva chiesto altre munizioni. Domenico Soro, 31 anni, protagonista anche lui della discussione di pochi minuti prima al bar, si era salvato per miracolo. «Ti ammazzo, ti ammazzo», aveva urlato per le strade deserte del paese Sebastiano Foe, mentre qualcuno aveva già chiamato i carabinieri. I militari erano arrivati in pochi minuti. L’ex assessore aveva però perso completamente la testa. Il suono delle sirene dell'ambulanza del 118 e di una gazzella dei carabinieri, lo avevano convinto ad allontanarsi di corsa verso vicolo Municipio.

Proprio lì aveva trovato i carabinieri. Stava per sparare quando un appuntato della stazione di Tula, al riparo dietro il muro di una casa, lo aveva preceduto: cinque colpi con la pistola di ordinanza, tutti a segno, quattro alle gambe di Foe e un proiettile conficcato nelle canne della doppietta. «Ciano» era finito per terra e solo in quel momento aveva lasciato il fucile. Immobilizzato dai carabinieri e soccorso dall’équipe del 118, era stato caricato sull’ambulanza arrivata in paese invano per soccorrere la vittima e poi trasportato all'ospedale civile di Ozieri. I colpi gli avevano procurato ferite lievi ai polpacci e alle caviglie. Dopo qualche giorno di ricovero era stato trasferito in carcere.

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