La Nuova Sardegna

Cabras, chiesti 30 anni per Brundu

Cabras, chiesti 30 anni per Brundu

L’uxoricida si scusa in aula: domani le arringhe, poi la sentenza a Cagliari

17 luglio 2012
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CABRAS. È un omicidio. È l’omicidio di una madre di due bambini, e il suo carattere non facile conta poco. Per il pm Rossella Spano, conta infinitamente di più la sua assenza da casa. Contano le difficoltà che dovranno affrontare i figli rimasti orfani e con un padre che non si sa quando potranno rivedere, perché rischia di rimanere dietro le sbarre per un tempo lunghissimo. Quanto sarà lungo questo tempo lo si capirà domani, al momento della lettura della sentenza. Per ora, Renzo Brundu, il pescatore di 50 anni reo confesso dell’omicidio della compagna Katia Riva (39 anni), dormirà per due notti con in mente il suono delle parole conclusive della requisitoria del pm che ha chiesto la sua condanna a trent’anni.

Un anno e una settimana sono invece passati dal 10 luglio 2011. E proprio da lì è ripartita la pubblica accusa nel descrivere alla Corte d’assise di Cagliari (presidente Claudio Gatti, a latere Ermengarda Ferrarese) quel che accadde in quei minuti di assurda violenza domestica nella casa di via Regina Margherita, a Cabras. Il delitto non ha in sé misteri. Non ne ha perché fu lo stesso Brundu a chiamare la polizia e a dire di aver appena ucciso la compagna. La ricostruzione dell’accusa si è poi soffermata sulla descrizione, confortata dagli aspetti scientifici della perizia medico legale, delle modalità. La lite fu l’ennesima di una relazione ormai insostenibile. Durante il processo numerosi testimoni hanno ricordato come il comportamento di Katia Riva fosse incostante, spesso al limite della provocazione, e come Brundu avesse spesso subito in passato questa situazione. Ma l’unico punto a favore dell’imputato è il mancato riconoscimento della premeditazione. Fu insomma un delitto d’impeto, identico a tanti altri che costellano le cronache. Eppure, prima che l’accusa iniziasse la requisitoria, Brundu aveva voluto di nuovo prendere la parola. Ha voluto chiedere scusa, si è dichiarato consapevole di ciò che aveva fatto e della tragedia che ha generato. Si è detto pentito e ha invocato il perdono dei due bambini, dei suoi familiari, di quelli della compagna e infine di Dio.

Il giudizio terreno però è un’altra cosa. E oltre alle condanne detentive, Renzo Brundu rischia il pagamento di 750mila euro per ciascuno dei suoi figli, che oggi hanno uno e tre anni. La somma è stata richiesta dall’avvocato Federico Ibba, non l’unico dei rappresentanti di parte civile a esporre la propria arringa. Singolarmente drammatica è stata quella dell’avvocato Maria Irene Dore che assiste Simona Riva, sorella gemella di Katia.

Proprio questo fatto le impedirà di rivedere i bambini perché il tribunale dei minori, in un precedente pronunciamento, gliel’ha proibito per via della sua somiglianza con la loro madre. Vederla significherebbe esporli a un trauma che non viene ritenuto sopportabile. Si troverebbero di fronte una persona identica, ma che non è quella che vorrebbero fosse. Mercoledì intanto, la Corte d’assise emetterà il suo verdetto. Al termine dell’intervento dell’ultimo avvocato di parte civile, Pier Luigi Concas, che assiste la madre di Katia Riva, e dell’arringa difensiva, affidata all’avvocato Cristina Puddu. (en.ca.)

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