La Nuova Sardegna

Itri, il massacro dei sardi che dissero no alla camorra

di Piero Mannironi
Itri, il massacro dei sardi che dissero no alla camorra

Otto morti e sessanta feriti tra gli operai isolani assaliti dalla folla. Si rifiutavano di pagare il pizzo. L'appassionata campagna della Nuova Sardegna per fare emergere la verità

05 novembre 2021
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SASSARI. Il ricordo è a volte un esercizio difficile e doloroso. Perché costringe a ripercorrere tormentati sentieri del passato nei quali ruoli e ragioni, paesaggi umani e derive dei sentimenti, paure profonde e incandescenti torrenti di violenza hanno contribuito a costruire quel sedimento comune sul quale è costruito il nostro presente. Perciò ricordare può anche significare guardare dentro l'abisso che è in noi. E allora si preferisce dimenticare, rimuovere, cancellare.

Accade così che nella storia, quella ufficiale, ci siano dei vuoti che si è scelto di non riempire. Vuoti che però, a volte, possono essere colmati grazie alla curiosità intellettuale e alla passione civile di alcuni ricercatori. Così come è stato per il massacro di Itri, avvenuto il 13 luglio del 1911. Esattamente 101 anni fa.

E' stato un ricercatore algherese, Antonio Budruni, lavorando alla ricostruzione della cronologia del terzo volume dell'enciclopedia La Sardegna, a imbattersi in una notizia sconosciuta, ignorata perfino dagli istituti di Storia delle università. «Fu il professor Manlio Brigaglia – dice Budruni – a chiedermi allora di scrivere un articolo sulla strage dei sardi a Itri sulla rivista Ichnusa. Così, la notizia di quei tragici avvenimenti, che era rimasta sepolta per circa 75 anni, fu conosciuta dai lettori del numero dieci della rivista, uscita nel giugno 1986».

Ma ecco i fatti. Itri è una cittadina tra Gaeta e Formia, patria del leggendario brigante Fra Diavolo, diventato poi colonnello dell'esercito borbonico.Nel 1911 occorrevano sudore e braccia per la costruzione del quinto tronco della ferrovia Roma-Napoli. Venne così reclutato un migliaio di lavoratori sardi. Si trattava di uomini provenienti un po' da tutta la Sardegna, ma quasi tutti erano passati nell'inferno delle miniere del Sulcis. Molti fuggivano dalle campagne, da una vita senza speranza. All'inizio dell'estate del 1911 circa 500 sardi lavoravano in un cantiere a pochi chilometri da Itri, in una zona che, per ironia del destino è chiamata “Terra di lavoro”. Gli itriani guardavano con ostilità e sospetto quella umanità dolente che sopportava orari impossibili e viveva in condizioni estreme. Erano anni in cui i sardi erano perseguitati dai pregiudizi alimentati da una classe dirigente che ricorreva perfino alle teorie pseuoscientifiche di Lombroso e di Niceforo. Basti pensare cosa aveva scritto dei sardi il responsabile della cancelleria sabauda Joseph De Maistre: «Sono più selvaggi dei selvaggi perché il selvaggio non conosce la luce, il sardo la odia... Razza refrattaria a tutti i sentimenti, a tutti i gusti e a tutti i talenti che onorano l'umanità».

E quei “selvaggi” avevano un'altra colpa: con il loro orgoglio e la loro dignità non rispettavano la “legge del pizzo” imposta dalla camorra. E furono gruppi camorristici a soffiare l'odio su quel clima già teso, coinvolgendo in un sentimento di rancore collettivo e di odioso razzismo anche le autorità locali. Tutto fa pensare a un complotto, a un'aggressione programmata. La tragedia scoppia il 12 luglio quando un lavoratore sardo viene provocato (e ferito) nella piazza di Itri. E' come una scintilla che fa divampare l'incendio di follia e di violenza. Centinaia di itriani si riversano armati nella piazza Incoronazione e assalgono i sardi al grido: «Morte ai sardegnoli». E' un linciaggio. Intervengono anche i carabinieri, ma sparano sui sardi. La caccia riprende l'indomani con inaudita violenza. Alla fine i morti saranno 8 e 60 i feriti. C'è poi la tragica beffa: alcuni sardi vengono arrestati e altri espulsi. Nel processo sui fatti di Itri, che si celebrerà a Napoli nel 1914, un avvocato sosterrà l'incredibile tesi della «legittima difesa di una folla».

«La Nuova Sardegna – dice Budruni -, diretta allora da Medardo Riccio, condusse una campagna appassionata per far emergere la verità e denunciare i pregiudizi verso i sardi. I suoi giornalisti andarono a Itri, incontrarono i lavoratori sardi, raccolsero le loro testimonianze. Fu un lavoro di grande professionalità e civiltà».

Sui fatti di Itri Budruni ha scritto un documentatissimo libro: “I giorni del massacro/ Itri, 1911: la camorra contro gli operai sardi”, prefazione di Gian Antonio Stella, editore Carlo Delfino. È il frutto di un difficile e meticoloso lavoro di ricerca e soprattutto di una passione civile fondata sulla convinzione che per conoscere davvero se stessi è determinante conoscere il proprio passato. Insomma, ricordarsi sempre di ricordare.

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