La Nuova Sardegna

Cortometraggi per incontrare l’invisibile

di Maria G. Giannichedda
Cortometraggi per incontrare l’invisibile

I risultati del progetto "Radiografie": racconti di disagio, carcere ed emarginazione

15 dicembre 2012
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Lavoratori di giorno tra i ginepri dello stagno di Platamona e detenuti la sera, a San Sebastiano o ad Alghero; il corpo di una fabbrica che muore, con il guano di storni e gabbiani che copre gli impianti; la follia amico e nemico invisibile, che arriva sempre inattesa anche per chi ci convive da anni; un uomo che racconta sorridendo la sua vita difficile mentre cerca credito da una banca un po' speciale: i cortometraggi che il progetto RadioGrafie presenta in questo seminario cercano di cogliere e raccontare, attraverso temi diversi, una certa dimensione dell'esperienza umana, delle relazioni sociali e della politica, dimensione che ci sembra resti per lo più invisibile, talvolta perché nascosta ma più spesso perché attivamente oscurata, tagliata fuori dal discorso pubblico, privata della parola.

Che cosa mettiamo dentro questo concetto di invisibile, e come ci siamo arrivati?

All'origine c'è l'esperienza dei Laboratori di cittadinanza, un programma avviato alcuni anni fa dalla Fondazione Basaglia e portato avanti in città diverse da ricercatori giovani e meno giovani (il gruppo dell'università di Sassari ha seguito dall'inizio quest'esperienza e non solo a Sassari). I Laboratori hanno coinvolto ricercatori, studenti e insegnanti delle medie superiori, utenti e operatori della salute mentale e dei servizi sociali in progetti finalizzati a realizzare prodotti di vario tipo (audio, video, scritti, disegni, foto) per un pubblico di studenti, operatori e utenti. Ma più che su questi prodotti vorrei puntare l'attenzione sul percorso della loro realizzazione. Si lavora insieme infatti, il che implica "incontri ravvicinati" tra ricercatori, insegnanti, studenti da un lato e dall'altro persone che hanno conosciuto la follia o che ancora ci stanno dentro, persone che hanno conosciuto il carcere o sono tutt'ora detenute, persone che arrivano da mondi di cui normalmente si ignora lingua, storia e geografia. In questi incontri, concetti come cittadinanza, eguaglianza, libertà, legge, diritti, istituzioni, politiche prendono d'improvviso consistenza, o forse in realtà la perdono del tutto, e infatti nei Laboratori si lavora per riscoprirli questi concetti, per ricostruirli concretamente alla prova dei fatti, dei problemi, delle persone, qui e ora. I Laboratori sono stati così esercizi di cittadinanza e insieme di ricerca, da cui sono nate anche le domande che ci hanno portati qui, a questo progetto e all'invisibile. Due esempi. I Laboratori degli anni scorsi sulla chiusura dei manicomi, i nuovi servizi e i nuovi diritti ci hanno consentito di capire un po' di più cosa è accaduto in Italia dopo la riforma ma hanno anche sedimentato la sensazione che diritti, servizi, psichiatria (o salute mentale che dir si voglia) siano abiti troppo stretti per l'esperienza della follia come abbiamo potuto incontrarla attraverso alcune persone con cui abbiamo lavorato. Il corto "Nemico invisibile amico" è nato così, dal bisogno di andare oltre la dimensione e il linguaggio dei diritti e delle politiche, dal bisogno di fare una sorta di p. romemoria sulla posta in gioco, che è l'esperienza umana della follia, appunto.

Simile il percorso dei Laboratori su carcere, pena, rieducazione, che sono stati utili per far emergere e smontare ignoranze diffuse e luoghi comuni, per contribuire a non far calare la già bassa attenzione sulle condizioni del nostro sistema carcerario e per far conoscere le tante ma troppo poche esperienze come quella che presentiamo nel corto "Contare". Ma anche in questo caso ciò che abbiamo cercato di far emergere non è tanto quello che potremmo definire "il problema sociale" quanto piuttosto la complessità delle persone che abbiamo incontrato e della situazione di tensione che vivono, tra il desiderio di contare producendo qualcosa di positivo e la realtà di essere contati ogni sera, tornando in cella.

Quando più di un anno fa abbiamo cominciato a lavorare a RadioGrafie ( il nome svela l'ambizione…) già eravamo alla ricerca di questa "eccedenza" di umanità, socialità e politica che le categorie conoscitive - psichiatriche, psicologiche, giuridiche, sociologiche ecc. - non rappresentano e spesso anzi occultano o cercano di ridurre alla propria misura. Così abbiamo cominciato a usare il concetto di "invisibile" per collocarvi queste eccedenze che provavamo a rintracciare, con la sola pretesa che individuare segni, orme e di coinvolgere altri in questo esercizio, convinti che negli umani esista "una inclinazione a pensare al di là dei limiti della conoscenza e a trarre da questa attitudine qualcosa di più che uno strumento del sapere e del fare", come scriveva la filosofa Hannah Arendt. Arendt rilevava i pericoli della "crescente incapacità a muoversi nella sfera dell'invisibile, del discredito in cui è caduta ogni cosa che non sia visibile, tangibile, palpabile", ed è stato un conforto non dappoco riscoprire queste sue parole sul finire di questa tappa del lavoro sull'invisibile che vorremmo continuare.

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