La Nuova Sardegna

Un museo nel Sinis, i Giganti tornino presto a Mont’e Prama

Un museo nel Sinis, i Giganti tornino presto a Mont’e Prama

Il convegno di Fabula a Cagliari con i maggiori archeologi ha fatto il punto sul complesso delle sculture e il loro valore

19 marzo 2013
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di Marcello Madau

Antichità, memoria, contemporaneità. Pochi complessi archeologici al mondo sono in grado di presentare assieme, con tale intensa qualità, questi tre aspetti come Mont’e Prama, nella Penisola del Sinis.

Il grande restauro ha riaperto una discussione forte sull'interpretazione di tutto il contesto. Sia le tipologie delle statue sia elementi leggibili ex-novo nelle stesse hanno permesso considerazioni destinate a dare nuova luce su una vicenda che si inizia a decifrare con pienezza. E si ripongono nuove speranze su altre, attese indagini di scavo.

Si pensi al numero, alla quantità dei “modelli di nuraghe”, al pugnaletto riconosciuto in una delle statue, o a quel motivo e capo tessile che ha fatto persino ipotizzare la mano – quindi la presenza entro la bottega scultorea nuragica – di artigiani vicino-orientali.

Il convegno svoltosi a Cagliari sabato scorso ha rappresentato – sulla scorta del magnifico volume edito da Fabula, che ha pubblicato a fine 2012 "Giganti di Pietra. L'Heroon che cambia la storia della Sardegna e del Mediterraneo" – l'incontro delle diverse generazioni di studiosi che si sono occupati delle statue, come Bedini, Ugas, Zucca, Tronchetti, Bernardini, Bartoloni, Rendeli, Minoja, Moravetti, Usai. Il coordinamento, e le conclusioni di un'autorità mondiale dell'archeologia come Mario Torelli, Accademico dei Lincei.

Vi è ancora qualche fan della datazione alta, che si spinge, persino superandolo, verso l'anno Mille a.C. Ma gli studi specialistici si muovono fra l'VIII e non oltre i primi decenni del VII secolo a.C., a fronte di un sepolcreto che si sviluppa fra il IX e l'VIII secolo a.C.: l'età del Ferro, i secoli dell'apogeo memoriale della civiltà nuragica e del suo declino.

Secoli di cambiamento, di rideterminazioni del potere nei territori, di gruppi sociali emergenti fra sardi inseriti in relazioni di terra e di mare, incrociate, con Fenici, Greci ed Etruschi.

Se le iconografie conducono nel dominio dell'autorappresentazione di committenze nuragiche colte e socialmente elevate, e l'elaborazione artistica ci dice che sopra la tradizione geometrica del mondo sardo si posò un’antica lezione orientalizzante, l'analisi iconologica conduce al territorio e alla sua storia, negli scenari di una memoria monumentalizzata per il ricordo. Campo semantico vasto, dove ai tanti nuraghi si affiancavano città fenicie come Othoca e Tharros; e l'incontro – almeno fra le élites – sembra segno prevalente rispetto allo scontro.

Manufatti orientali, da San Vero Milis per tutto il Sinis, si posavano nei centri indigeni, e nelle tombe fenicie gli oggetti di rango dei principes nuragici ivi sepolti. Genesi urbane forse più miste che etnicamente chiuse.

Il Sinis raccontato da Mont’e Prama è un luogo della memoria trasferita mediante il ricordo di uomini e monumenti eroici, grandi antenati e mirabili costruzioni del passato: i nuraghi non si costruivano più almeno da duecentocinquant'anni.

Non molte generazioni trasferirono nei passaggi di voce, da padre a figli e nipoti, racconti di origini gentilizie e di grandi costruttori.. I contos eroici non vennero scritti con parole omeriche ma con la pietra, la ceramica e il bronzo.

Perduti i racconti verbali, restano le statue e i modellini di nuraghe, la traccia plastica e grafica della ceramica e del bronzo. I “modellini”, in gran numero, costruiscono con i “giganti” una delle più forti operazioni memoriali e identitarie visibili nelle antichità preclassiche. Un fatto che colpisce non meno dei reperti.

Un impressionante paesaggio memoriale che dovremo assieme alle statue riscoprire e proteggere. E' in queste ultime ragioni, e relazioni territoriali – non solo in una peraltro solida motivazione archeologica e storico-artistica – che trova fondamento l'esigenza di mantenere l'intero contesto archeologico, luoghi e manufatti, nelle sue terre d'origine.

Chi ha seguito la “Nuova”, e altri luoghi di dibattito compresi quelli digitali, conosce la battaglia, promossa e condivisa assieme a giovani archeologi e grandi accademici, per evitare la divisione delle statue e del contesto archeologico decisa da Stato e Regione.

Non voglio però riproporre quanto già discusso. C'è un modello di sviluppo basato su ambiente, paesaggio e beni culturali da perseguire con coerenza, ancora non sufficiente; concrete misure che rendano possibile, con vera qualità museografica e museologica, il ritorno degli “eroi” nei loro luoghi e le interazioni virtuose fra qualità locale e filiere dello sviluppo sostenibile (tutela del paesaggio, produzioni alimentari biologiche e non ogm, sviluppo dei lavori cognitivi, socialità, turismo capace di rivolgersi a tutte le utenze).

Si dovrebbero costruire grandi e anche piccole, ma concrete azioni. Che anche il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali – perché un grande museo nazionale come quello di Cagliari non può non ospitare, presentare e dare indirizzi culturali su Monte Prama – si avvalga delle copie: replicando tutti gli originali che dovesse ritenere utile e battendosi perché essi, tutti assieme, trovino una degna sede nel territorio di Cabras.

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