La Nuova Sardegna

Legati in casa e minacciati con la pistola

di Antonello Palmas
Legati in casa e minacciati con la pistola

Tre incappucciati assaltano una villetta: mattinata da incubo per una famiglia, tra loro anche un disabile e un’anziana

04 luglio 2013
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INVIATO A MONTI. Un rumore fuori dalla finestra aperta, Vetta che scosta le tende per dare uno sguardo e d’improvviso viene afferrata da una mano che le stringe l’avambraccio: è cominciato così, come in un film del terrore, l’incubo dei Mureddu, la cui casa è stata assaltata da una banda di incappucciati che dopo averli legati hanno rapinato soldi, gioielli e un fucile. Un incubo durato mezzora e che ha coinvolto quattro familiari di Giacomo Mureddu, la cui casa sorge in una zona isolata e immersa nel verde, Pedru Nieddu, nel Comune di Monti ai confini con quello di Telti. L’ideale per agire indisturbati, con scarsissimo rischio. Ad aver vissuto quei lunghi minuti di paura sono stati la moglie di Giacomo, la romena Vetta Monteanu, la sorella Paola, la madre Giovanna Maria Vargiu (81 anni) e un fratello disabile.

La mattinata che i Mureddu difficilmente dimenticheranno comincia intorno alle 9.30. Giacomo Mureddu, ex autista e ora meccanico di mezzi agricoli, si intrattiene a programmare una mattinata di impegni a Olbia nel cortile di casa e parla ad alta voce con il cugino. Non sa che sta fornendo preziose indicazioni ai criminali appostati in una via laterale che costeggia il terreno, dietro una casetta in granito. Così, non appena i due cugini vanno via in direzione della città, i rapinatori entrano in azione, saltando facilmente la recinzione. In una delle stanze Vetta sta studiando per preparare un concorso, mentre nel soggiorno ci sono la cognata, il cognato e la suocera. La finestra è aperta: «Ho sentito un rumore e ho fatto il gesto di scostare le tende, ma da là fuori è spuntata una mano che mi ha afferrato il braccio con forza». Terrorizzata, riesce a liberarsi della presa e corre verso la porta d’ingresso per chiuderla, ma non fa in tempo: con un calcio viene aperta dall’esterno (sull’infisso è rimasta l’impronta della pedata) e in un istante in casa fanno irruzione due uomini mentre il terzo con agilità è già entrato dalla finestra: indossano passamontagna, guanti e magliette scure, hanno una pistola e un fucile a canne mozze. E tutto lascia pensare che una quarta persona attenda nell’auto.

I metodi sono decisi e ruvidi: «Ci hanno legati tutti, a parte mamma – dice Paola Mureddu – utilizzando fascette di plastica. A mio fratello le hanno strette troppo e si lamentava per il dolore, quando gli ho fatto presente che è disabile hanno detto “già lo sappiamo” e lo hanno minacciato per zittirlo». Le maniere più brutali le riservano a Vetta, che inizialmente prova a ribellarsi, ma si blocca davanti alla pistola puntata alla testa. E mostrano di conoscere altre cose della famiglia. Ad esempio, parlando tra loro (sembra in un sardo chiuso, del tipo nuorese) si raccomandano di stare attenti che non torni “il meccanico”. E vogliono sapere dove sono le casseforti: una la trovano subito, è di quelle alte e strette e non è stata ancora murata: dentro il soggiorno, mettono in azione una mola facendo un gran rumore e rischiando di fare danni a causa delle scintille. Dentro la cassaforte ci sono un fucile da caccia e 1. 500 euro. Non abbastanza per i banditi, che si fanno minacciosi: vogliono altro. Il tempo scorre e uno dei tre sta vicino alla porta e guarda continuamente fuori. La madre di Giacomo era angosciata: «Temevo che tornasse mio figlio, chissà cosa sarebbe successo». «Nell’altra stanza c’erano altre due casseforti – racconta Paola – e ho preferito dare loro le chiavi, minacciavano di spaccare tutto. «Dentro c’erano i gioielli di una vita, alcuni antichi, un grosso collier, gli anelli dei nonni» dice Giacomo. Ora i tre sono soddisfatti e fuggono con il bottino, lasciando legati i Mureddu, senza curarsi di portare via i cellulari e dimenticando una mazzetta. Il padrone di casa rientra intorno alle 10.40, e trovando i familiari che si erano appena liberati e stavano cercando di chiamarlo. «Non so cosa sarebbe successo – dice Giacomo Mureddu trattenendo a stento la rabbia – se fossi arrivato prima». Ed è meglio così. «Ma di cosa si vanteranno ora questi – si chiede –, di avere rapinato un’anziana e un disabile?»

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