La Nuova Sardegna

«Stay tranquil», Sassari in scena a Brooklyn

di Silvana Porcu
«Stay tranquil», Sassari in scena a Brooklyn

Le amicizie sarde dell’autrice americana Eliza Bent hanno ispirato una commedia che fa il pienone a New York

15 agosto 2013
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NEW YORK. Uno spettacolo teatrale incentrato sulla storia di due giovani sassaresi. Potrebbe essere una commedia come tante, ma in questo caso siamo in un teatro di Brooklyn. Le attrici sono americane, così come l’autrice e tutto il cast. Quello che è totalmente nuovo è l'uso dell'inglese, caratterizzato da una specie di corto circuito linguistico che manda scintille a ogni battuta, mentre gli spettatori americani assistono alle avventure delle protagoniste in scena. Siamo in un teatro di New York, il Bushwick Starr, dove per tre settimane lo spettacolo “The Hotel Colors” ha fatto il pienone.

La commedia è costruita attorno a Paola e Christina – che nella storia sono di Sassari e sono interpretate da Kourtney Rutherford e Christine Holt – e agli strani individui in cui si imbattono in un ostello di Roma. L’autrice, Eliza Bent, è una giornalista, attrice e autrice teatrale nata in Massachusetts e innamorata dell’italiano. L’ispirazione, almeno per i personaggi, è arrivata da una vecchia compagna di stanza di Sassari, mentre il gioco linguistico nasce da una riflessione sulle distanze culturali. Una piccola trovata che rende incredibilmente vivace il copione: quello che il pubblico ascolta è un inglese tradotto letteralmente dall’italiano ma recitato senza nessuna inflessione che imiti la nostra lingua. Il suono quindi è perfettamente americano, ma l’ordine delle parole è italiano. Questo significa che una frase semplicissima – una di quelle che si imparano alla prima lezione di inglese – come «Mi chiamo Paola», ovvero «My name is Paola», diventa «I call myself Paola», espressione che probabilmente nessun madrelingua inglese si sognerebbe di usare. Gli esiti sono decisamente comici, dalle espressioni di disappunto («Pig misery!») agli auguri («In the mouth of the wolf!»), fino alle rassicurazioni («Stay tranquil»).

Innaturale, ma per qualche strano motivo sensato e persino comprensibile a un pubblico americano. Tanto da meritarsi parecchie recensioni positive nelle riviste specializzate statunitensi. Tutto iniziò con una lezione di scrittura per il teatro, qualche anno fa: «Il mio professore – dice Eliza Bent al telefono da New York – mi aveva proposto di scrivere un testo che avesse a che fare con l’italiano. Sentivo che una traduzione letterale gli avrebbe dato un suono elaborato. L’ho scritto velocemente, pensando a come i personaggi avrebbero detto le frasi in italiano, e poi ci ho messo la mia traduzione creativa, per così dire». Una deriva in stile “Lost in translation”: l’autrice ha cercato di recuperare pezzi di significato andati dispersi. «Puoi tradurre una lingua – riflette – ma perderai sempre qualcosa. Puoi dire “mi dispiace” e ovviamente in inglese è “I’m sorry”, ma se dici “it displeases me” suona come se avesse un significato differente». Eliza Bent ha studiato a Parma e lavorato a Roma. Per alcune coincidenze, il suo percorso ha incrociato la Sardegna almeno un paio di volte. Le è rimasta così impressa da farne la terra di origine dei due personaggi femminili di “The Hotel Colors”. «Quando vivevo a Parma – ricorda – io e le mie amiche volevamo fare qualcosa per le vacanze di Pasqua. Un ragazzo sardo che lavorava in un bar ci disse che dovevamo assolutamente andare nell’isola. La mamma del suo migliore amico aveva un bed and Breakfast a Sassari. Così abbiamo preso il traghetto fino a Cagliari e da lì siamo andate in macchina. Abbiamo visto la Costa Verde, Orgosolo e tanti altri posti fino ad arrivare a Sassari. È stato un modo incredibile di vedere questa isola meravigliosa». Ma la vera ispirazione è arrivata a Roma quando, a 22 anni, divideva l’appartamento con due ragazze italiane: «Una di loro era di Sassari. Era una persona molto particolare. Tutte le volte che uscivamo insieme, le altre persone le chiedevano: “Tu sei sarda, vero”? – dice Eliza in italiano – e lei non capiva come facessero ad accorgersene. Non so, forse per via dell’accento. Era come se fosse straniera in Italia, pur essendo italiana. Per questo è stata la mia fonte d’ispirazione maggiore».

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