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“Le guerre dei sardi” Un ufficiale in trincea

Il mito della Brigata “Sassari” iniziò a diffondersi già nel corso della Grande Guerra. L’inviato speciale del “Giornale d’Italia” scriveva, riferendo dell’azione dei “sassarini” per la conquista di...

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Il mito della Brigata “Sassari” iniziò a diffondersi già nel corso della Grande Guerra. L’inviato speciale del “Giornale d’Italia” scriveva, riferendo dell’azione dei “sassarini” per la conquista di Col del Rosso: «Con simili soldati il destino del monte e dei suoi difensori è già segnato»; e subito dopo: «Questi soldatini silenziosi e tenaci sono come tante colate di lava travolgente e distruttrice». Col tempo la riflessione sui fatti e le loro conseguenze continuò nei memoriali scritti da coloro che avevano partecipato, e sentivano il bisogno di darne testimonianza. Tra il 1918 e il 1964 ne uscirono sedici. Per la collana “Le guerre dei Sardi» pubblicata dalla “Nuova” è stato scelto “Fanterie sarde all’ombra del tricolore” di Alfredo Graziani, che è tra l’altro il più corposo, e per questo è stato diviso in due volumi: il primo sarà in distribuzione da oggi (a 5,90 euro più il costo del giornale). Un primo motivo di interesse per l’opera – che pubblicò a Sassari nel 1934, col nomignolo di “Tenente Scopa” – è la figura dell’autore. Nato a Tempio da famiglia borghese, aveva appena adempiuto al servizio di leva in cavalleria quando fu mobilitato per la guerra.

Chiese allora di essere trasferito alla “Sassari”, ma conservando la divisa da cavalleggero. Si distinse per valore, ideò le “azioni ardite” dei volontari; e, ferito gravemente, fece di tutto per tornare a combattere. Paragonato a Lussu per il prestigio che aveva tra la truppa, pubblicò la sua opera lo stesso anno in cui usciva “Un anno sull’Altipiano”: non nomina il collega, del quale era stato anche amico, perché avendo aderito al fascismo si trovava nello schieramento opposto, eppure le due opere hanno più di un punto in comune. Intanto la fedeltà ai fatti, come sono stati resi noti anche da fonti ufficiali; e c’è un’analoga inclinazione a stemperare i toni con una visione ironica; ma quello che più conta per Graziani è che la retorica imperante di regime (il libro ha la prefazione del “quadrumviro” Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon) non gli impedisce di descrivere le scene più orribili e raccapriccianti, né di denunciare, così come faceva Lussu, gli errori dei superiori e le manchevolezze nelle dotazioni e nei rifornimenti. A chi non si fosse fatto ancora un’idea di quel conflitto basterà leggere il racconto della notte in cui il suo reparto si trovò in un sentiero che era tutto un cumulo di cadaveri dei nemici, o il lungo elenco delle volte in cui il “fuoco amico” falciò decine di soldati; o ancora quando, dopo lo scontro di monte Zebio, ci si rese conto che la Brigata era pressoché annientata. Una drammaticità testimoniata dalle foto scattate dallo stesso Graziani, riprodotte nell’inserto che fa parte del volume.

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