La Nuova Sardegna

«L’accusato in fuga dalle sue responsabilità»

di Pier Giorgio Pinna
«L’accusato in fuga dalle sue responsabilità»

Anatomia del triplice delitto: criminologa spiega che cosa succede nella mente di un presunto omicida

21 maggio 2014
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SASSARI. Anatomia di un triplice delitto. Agli occhi di una criminologa che tenta di penetrare nella mente di un presunto assassino, «l'efferatezza non dimostra incapacità d'intendere: anzi, a volte chi commette atti così crudeli, come quelli addebitati ad Angelo Frigeri nei confronti del piccolo Pietro e i suoi genitori, può essere stato perfettamente lucido al momento del delitto». In passato Noemi Sanna è stata consigliere regionale con il centrodestra e candidata alla Camera dei deputati con Scelta Civica di Monti. Ma nel caso della strage di Tempio chiaramente parla nella sua veste professionale: medico psichiatra, lavora in clinica all'università di Sassari. Lei, Sanna, per approfondire gli studi in criminologia ha operato per tre anni in un ospedale di massima sicurezza a Montreal, in Canada. Ed è anche alla luce di queste esperienze che ripercorre modalità e comportamenti alle base del massacro che ha sconvolto la Gallura.

Legami. «Dalle cronache emerge un rapporto di amicizia tra arrestato e assassinato, oltre alla possibilità di una passata relazione tra l'indagato e la moglie della vittima - elenca i fatti la psichiatra _ Tutto lascia intuire che da un primo delitto si sia arrivati, come degenerazione, agli altri due. Così si può pensare alla mancanza di premeditazione. E parlare di qualcosa che via via è sfuggito di mano all'assassino».

Catena di sangue. L'eliminazione di uno o due testimoni scomodi che avevano assistito all'inizio degli omicidi «Non lo sappiamo _ risponde il medico _ Può darsi ci siano stati dietro altri fattori ancora ignoti».

Sequenze. «A ogni modo, tutto questo non significa o non essere colpevoli - sottolinea Noemi Sanna - Equivale a dire: l'omicida forse non aveva previsto di uccidere, ma la situazione è andata al di là delle sue intenzioni, è quello che gli americani chiamano lust murder, ossia omicidi a catena».

Retroscena. Il movente? «Si parla di usura ma sotto traccia affiorano ulteriori e diverse ipotesi _ dice la specialista _ C'è stato il ricorso a droghe, alcol o ad altre sostanze in grado di far cadere i freni inibitori? È presto per affermarlo. Ma poco importa quel che traspare in questa fase. Le vere ragioni dell'accaduto, presumibilmente, restano celate. Ed è magari lo stesso assassino _ sia o no la persona oggi sotto accusa _ che le nasconde perfino a se stesso. Sotto il profilo psichiatrico, un meccanismo simile obbedisce allo schema di genere che coinvolge il tipo del marito manesco. Il quale, arrestato, affermerà: "Sì, è vero: ho picchiato mia moglie, ma lei non accudiva i figli o non cucinava mai o indicherà via via altre ragioni". Poi i fatti dimostreranno che era semplicemente un violento o che dietro c’erano ragioni più profonde e del tutto differenti».

Tesi e ipotesi. Ma qual è allora la sua conclusione su questo punto specifico, soprattutto in un caso atroce come quello di Tempio? «Beh, è semplice: non ci si deve far ingannare dal movente superficiale o apparente». E la contraddittorietà delle versioni date dall'indagato? «Le persone alle quali raccontiamo più storie al mondo siamo noi stessi: voglio dire _ spiega ancora Noemi Sanna _ che il primo istinto è quello di giustificarsi con ricostruzioni che sembrano credibili soprattutto a chi è finito in prigione». «Ma poi le cose cambiano - prosegue - Perché gli interrogatori non si svolgono certo come siamo abituati a vederli nei film.. All'indagato, dopo qualche ammissione, gli inquirenti contestano fatti logici, basati su prove e indizi. E se a quel punto appare chiaro che mente, di fronte all’evidenza lui cambierà versione. Ne fornirà così una seconda, sperando venga ritenuta più in linea con le risultanze delle indagini. Ma può darsi che non sia sufficiente. Forse dovranno ricordargli che omette particolari, che colleziona bugie. Così sino a quando inchiesta e dichiarazioni dell'imputato non andranno, se sarà possibile, nella stessa direzione».

Percorsi mentali. «Faccio un altro esempio: un uomo in cella per l’omicidio di un rivale in amore - aggiunge la psichiatra - Nello schema classico l'arrestato tenterà di giustificarsi dicendo: "L'ho fatto perché lui, mi aveva rubato la fidanzata”. Poi correggerà il tiro e magari sosterrà: "Era pronto ad aggredirmi". E ancora: "Ho solo reagito, mi voleva uccidere". Ma alla fine rivelerà: "Sono stato io, ma non ero io: in realtà ero fuori di me". Ecco, in genere per un assassino non professionale, l'obiettivo di fondo resterà sempre quello di difendere la sua immagine di fronte agli altri ma soprattutto davanti a se stesso: è un aspetto rilevante per una persona accusata di tre omicidi, compreso quello di un dodicenne».

Colpe e ricostruzioni. «Salvare la faccia, specie di fronte alla morte di un bambino, può diventa fondamentale per un individuo sotto accusa - conclude la criminologa - Ma se uccidere non è facile, l'efferatezza, è bene ripeterlo, non è segno di malattia. E anche in casi orrendi come questo massacro la brutalità delle esecuzioni può costituire il sintomo di un’assoluta lucidità mentale».

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