Mesina, nell’agenda i nomi dei complici
In tribunale il racconto del maresciallo Morozzi e le intercettazioni. L’indagine partì dal sequestro Cosseddu
CAGLIARI. La tecnologia, vero tallone d’Achille per Graziano Mesina. Usava i telefonini cellulari ma non sapeva registrare i numeri della sua rete di amici e collaboratori. Così i carabinieri di Nuoro li hanno trovati tutti in un’agenda, una di quelle vecchie agende che sembrano uscite dai ricordi di scuola. Coi numeri scritti a mano dall’ex ergastolano di Orgosolo è stato facile ricostruire la sua platea di riferimenti, dare un perché ai suoi movimenti, rintracciare conferme di contatti avvenuti sulla rete cellulare. Un lavoro intenso, quello condotto dai militari dell’Arma. Partito nella primavera del 2007 dalle indagini sul sequestro del dirigente di banca Giampaolo Cosseddu e della moglie, poi virato su un traffico di droga apparso subito nelle sue dimensioni internazionali. Telefoni intercettati in sequenza, una filiera ininterrotta di conversazioni che dall’etere finiscono nei brogliacci dell’Arma. Decine di pedinamenti e di colpo l’inattesa comparsa di Mesina sulla scena dell’inchiesta. Lui, graziato da Carlo Azeglio Ciampi, ufficialmente guida turistica sui sentieri del Supramonte, che ritorna nel mondo criminale in una veste moderna ma non abbastanza da governare gli strumenti di comunicazione. Infatti Mesina parla e lascia parlare al telefono, mettendo a nudo traffici e persone coinvolte mani e piedi in un’attività che appare chiaramente illegale. Ci è ricascato: gli mettono pure le cimici nell’automobile e ne vengono fuori gigabyte di racconti, pezzi veri o presunti del romanzo criminale che è stata la sua vita. Fino all’ordinanza di custodia cautelare per 25 persone, compreso Mesina, richiesta dal pm della direzione distrettuale antimafia Gilberto Ganassi e firmata dal giudice Giorgio Altieri il 17 maggio 2013. Assente Mesina, é stato il maresciallo Giovanni Morozzi, davanti al tribunale presieduto da Massimo Poddighe, a mettere uno dopo l’altro i file dell’inchiesta insieme al pm Ganassi. Sfoggiando una memoria invidiabile, il sottufficiale ha ripercorso la successione delle conversazioni registrate, mettendo in fila nomi e fatti. Così sono tornati all’attenzione pubblica gli stratagemmi banali, quasi puerili, usati da Mesina quando si trattava di fare riferimento a consegne scottanti: la cocaina si chiama di volta in volta foraggio, cagnolino o vitelli. Ma nei rapporti dei carabinieri i movimenti - gli anni sono soprattutto il 2008 e il 2009, poi anche oltre - appaiono chiarissimi: Mesina vola a Milano, incontra l’amico-socio Gigino Milia, si lamenta di una fornitura che «sembra terra», percorre la Sardegna come un globetrotter a bordo della sua Porsche Cajenne condotta dal nipote-autista Totoni Musina. Coi suoi modi spicci e il suo piglio da balente old style tiene i fili di un’organizzazione che macina soldi e droga, senza disdegnare rapporti con i «colleghi» albanesi e calabresi. L’uomo di raccordo, che gli fa girare la macchina del commercio illegale, per l’accusa è Corrado Altea. Lo scenario illustrato dal maresciallo Morozzi attraverso atti e rapporti d’indagine non è stato che la riproduzione di conclusioni giudiziarie considerate granitiche, che hanno condotto al giudizio immediato per sette indagati, mentre altri diciotto hanno scelto il rito abbreviato. Il vertice della piramide organizzativa del traffico è formato dalla coppia Mesina-Milia, che rispondono di associazione a delinquere. Sono loro, per l’accusa, ad aver alimentato il traffico di eroina e cocaina, trattando acquisti e vendite, tenendo i contatti con i fornitori nella penisola e all’estero. Il lavoro d’ascolto delle indagini è durato tutta la mattina e andrà avanti per almeno altre due o tre udienze. È la legge: quanto è agli atti dev’essere riprodotto in aula perché i giudici sappiano e possano valutare in un contradditorio pubblico. Dovranno essere esaminate le vicende cagliaritane e i rapporti coi clan malavitosi del capoluogo. Al giudizio immediato sono andati con l’ex ergastolano e Altea i presunti complici Gigino Milia, Efisio Mura, Enrico «Vinicio» Fois, Luigi Atzori e Franco Pinna, tutti accusati di traffico di stupefacenti. Mesina è difeso da Giannino Guiso e Maria Luisa Vernier, Altea da Salvatore Stara e Giuseppe Duminuco, Milia da Riccardo Floris e Roberto Delogu, Fois da Teresa Camoglio e Anna Maria Busia, Atzori dall’avvocato Camoglio, Pinna da Herika Dessì.