La Nuova Sardegna

La città inquieta: le ombre dell’usura, tra crisi e paure

di Giampaolo Meloni
La città inquieta: le ombre dell’usura, tra crisi e paure

A una settimana dal massacro: «I segnali di malessere arrivano dagli anni ’90» Da gennaio in 60 si sono rivolti al centro anti-strozzini, soltanto tre le denunce

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INVIATO A TEMPIO. Il malessere latente di una società sempre più inselvatichita che annienta la solidarietà, il confine del codice comportamentale che sino a un certo punto tollera poi si ritrae quando, come in questo caso, si sconfina nel sangue, la comunità che vive la lentezza quotidiana protetta nella tranquillità ma che allo stato di necessità cerca di traguardare le sofferenze con il salvagente dei canali illegali, come l’usura. Il doppio volto di Tempio prende forma nella metafora della maschera carnevallesca, il grande evento di questa cittadina che oggi si ritrova precipitata tra carnasciale e tragedia.

L’assetto sociale. «Questa vicenda ha lasciato la città attonita – spiega don Francesco Tamponi, direttore dell’Ufficio diocesano dei Beni culturali e parroco di Bortigiadas –. Certo, non si può dire che sia una città felice ma c’è un forte controllo sociale che salvaguarda ancora la dimensione delle relazioni personali, questo ha sviluppato relazioni che attenuano le conflittualità». La scuola, le quattro parrocchie, lo sport selezionano i gruppi modulari, li formano. «Chi sfugge alle dinamiche comportamentali viene isolato». È come la percezione di un tradimento. Dal gruppo alla frantumazione. Angelo, il presunto pluriomicida, ha 32 anni: «Sembra rappresentare la crisi che arriva dagli anni Novanta, i giovani senza riferimenti, con prospettive sempre più assottigliate», osserva Francesco Tamponi, che conosce queste sofferenze anche dal suo osservatorio di cappellano del carcere, alla Rotonda, riaperto meno di dieci anni fa con un tempiese protagonista di un delitto che ne fu il primo ospite in assoluto. «Tempio è una città fortemente conservativa, non c’è degrado ma i ragazzini comunicano con i nuovi media, sono esposti a molti rischi.

Questo fatto lascia un senso di paura, non perchè sia una costante ma proprio perchè è unico», osserva il sacerdote. La domanda è: si poteva prevenire?

L’antiusura. L’ombra dell’usura ha accompagnato la tragedia. «Ma Tempio non è la capitale di un fenomeno che è semmai molto presente altrove», dice Antonio Azzena (nessuna parentela con le vittime della strage), vicepresidente di Confidi, il consorzio che fa capo alla Confcommercio. «L’usura qui non sembra affatto così forte», aggiunge. E spiega: «Cerchiamo di arginarla con i nostri servizi. Indirizziamo le imprese a ricorrere all’attività antiusura proprio per evitare che diventino preda di fenomeni devastanti». La povertà che avanza, le aziende che soffocano, il credito sempre meno accessibile attraverso le banche. Un disastro. Chiedi quante sono le attività commerciali in attività e ti senti rispondere: «L’accompagno a contare le saracinesche abbassate».

I numeri. Uno scudo contro la violenza cinica dei cravattari è anche il Centro antiusura della Caritas. «C’è un sostegno penale e uno civile – spiega Francesco Tamponi –, perché tanti chiedono aiuto. Si può dire che non ci siano usurai?». Negarlo in modo definitivo non è possibile. «C’è una forma tradizionale, non certo marcata, e un’altra che si affaccia attraverso le coste e che minaccia non solo la Gallura ma l’intera Sardegna». Negli ultimi cinque anni gli ascolti registrati dal Centro antiusura sono passati dai 46 iniziali a 116. Il volume complessivo delle persone che si sono avvicinate per segnalare casi sono state 500. Da gennaio a oggi gli ascolti sono ancora in crescendo: 60 quelli annotati. Solo tre, tuttavia, le denunce effettive sul versante penale.

La tradizione. Dinamiche che vengono da lontano. Tra il ’700 e l’800 c’era la “rendita”, era la garanzia per poter diventare prete. «Si doveva dimostrare di possedere beni che assicuravano una certa rendita, dalla quale derivava il sostentamento del sacerdote e una parte congrua alla Collegiale», spiega don Francesco Tamponi. L’alternativa era il possesso di immobili da cui sarebbe derivata una rendita significativa. Semine dalle quali sarebbe cresciuto e degenerato il corpo malato dell’usura che alimenta oggi fenomeni criminali.

Il prestito. «Sul prestito sono nati e diventati pilastri dell’economia territoriale e sarda il sughero e il granito – osserva Antonio Azzena –, certo, allora anche con interessi elevati, ma senza quelle formule non sarebbe cresciuta l’economia». Oggi le cose stanno diversamente, anche il sughero e il granito contano bilanci in rosso. Patrizio Saba, presidente della Confcommercio Alta Gallura, radiografa così la crisi dell’intero sistema imprenditoriale: «Non solo non ci sono garanzie economiche per poter accedere al credito, ma è impossibile o quasi anche dare in garanzia gli immobili. Le banche giudicano le imprese».

Il malessere. «Il territorio non è esente dal disastro – analizza Carlo Balata, titolare di una catena di market –, la competizione esasperata, l’offerta superiore alla domanda, la liberalizzazione selvaggia del sistema sono tutte componenti di questa difficoltà, dell’impoverimento del territorio a cui concorre l’invasiva grande distribuzione che porta via risorse senza reinvestire nel territorio». Carlo Balata riceve centinaia di curriculum: «Plurilaureati che mi scrivono da Milano dicendo di essere disponibili per qualsiasi mansione».

Due facce. «Ma quanto si potrà ancora resistere alle conseguenze di tanta indifferenza, leggerezza, mancata prevenzione su tutti i fronti?», domanda Balata. L’episodio di Tempio è per tanti «un segnale che deve far riflettere sul malessere della nostra società». Il faro, forse, su quel doppio volto di Tempio che accomuna tutti. «Come sta maestro?», chiedeva gentile Angelo Frigeri affacciandosi alla porta della barberia dove si serve il suo insegnante elementare Franco Fresi, autore di alcuni volumi sul banditismo e che osserva: «Ricordiamo solo per le vittime del fuoco di Curraggia, tanta folla addolorata. Ma allora c’erano gli eroi, qui no. Questo ha gelato il sangue a noi tutti».

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