La Nuova Sardegna

“Faccia da mostro”, Mesina e il conflitto a fuoco che non ci fu

di Piero Mannironi
“Faccia da mostro”, Mesina e il conflitto a fuoco che non ci fu

L’ex poliziotto Giovanni Aiello è indicato da alcuni collaboratori di giustizia come un “killer di Stato”. Dice di essere rimasto sfregiato in uno scontro a fuoco con i banditi a Nuoro nel 1967. Ma non è vero

16 luglio 2014
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Il primo a parlare di lui, di "Faccia da mostro", fu Luigi Ilardo, uomo di spicco della famiglia mafiosa di Caltanissetta guidata da “Piddu” Madonia, ma soprattutto confidente del colonnello dei carabinieri del Ros Michele Riccio. Ilardo si era infiltrato nel "cerchio magico" del boss Bernardo Provenzano e il 31 ottobre del 1995 aveva portato i carabinieri fino alla tana del capo dei corleonesi, nelle campagne di Mezzojuso, vicino a Palermo. Ma l'operazione saltò. Ilardo fu ammazzato il 5 maggio del '96 in una strada di Catania: pochi colpi di pistola esplosi alle spalle e uno, l'ultimo, in faccia.

Sapeva molto, Ilardo. Al colonnello Riccio aveva raccontato come Provenzano aveva preso il potere all’interno di Cosa Nostra dopo la cattura di Totò Riina e gli aveva spiegato la nuova strategia mafiosa di inabissamento dopo la stagione delle stragi. Poi gli parlò di lui, di "Faccia da mostro". Lo definì "un uomo dello Stato" che si muoveva silenziosamente nel mondo delle cosche e che era stato presente in alcuni misteriosi episodi a Palermo. Come l'assassinio di un bambino di 11 anni, Claudio Domino, l'attentato fallito contro Giovanni Falcone all'Addaura, nel giugno dell'89, e l'omicidio di un poliziotto, Nino Agostino, e della moglie, avvenuto nell'agosto dell'89. Solo dopo molti anni si saprà che Agostino era un uomo del Sisde, il servizio segreto civile, e che probabilmente fu proprio lui a disinnescare la bomba che avrebbe dovuto uccidere Falcone sulla scogliera dell'Addaura.

Le confidenze di Ilardo. «Quell'uomo aveva il viso orribilmente devastato» disse Ilardo. Da quel giorno, il misterioso personaggio fu chiamato "Faccia da mostro". Comparirà dopo qualche anno nelle confessioni del collaboratore di giustizia Vito Lo Forte, del clan Galatolo, che parlò di lui e di un altro uomo dello Stato. «Li chiamavamo il bruciato e lo zoppo – disse Lo Forte –. Uno aveva il volto deturpato e l'altro camminava con un bastone e si diceva che fosse un pezzo grosso dei servizi segreti». Le confessioni di Lo Forte sono sconvolgenti. Dice infatti che “Faccia da mostro” aveva fornito il telecomando per l’attentato dell’Addaura, che era coinvolto nell’omicidio dell’agente Agostino e della moglie Ida Castelluccio e che era un terrorista di destra amico di Pierluigi Concutelli e che aveva messo bombe sui treni e nelle caserme. «Era un sanguinario – dice ancora Lo Forte –, non aveva paura di uccidere». E successivamente racconterà che “Faccia di mostro” aveva partecipato all’omicidio del commissario Ninni Cassarà e dell’agente Antiochia».

Di questo misterioso uomo ne parlò anche il padre dell'agente Agostino: «Il 5 agosto del 1990 bussò a casa mia. Cercava mio figlio. Era biondo e aveva il volto deturpato. Mio figlio fu ucciso pochi giorni dopo».

Poi arrivarono le dichiarazioni di altri pentiti: Francesco Marullo, del sottobosco mafioso dell’Acquasanta, il ’ndranghetista Consolato Villani, della cosca Lo Giudice di Reggio Calabria, Giuseppe Di Giacomo, della famiglia dei Laudani di Catania, e infine la figlia ribelle di un boss della Cupola, Angela Galatolo che ricorda che nella sua famiglia l’uomo veniva chiamato “lo sfregiato”.

La procura nazionale antimafia cominciò a indagare discretamente su quest’uomo misterioso dipinto come una sorta di killer di Stato, un uomo dei servizi segreti deviati deputato a fare “i lavori sporchi”, ma anche a uccidere per conto delle cosche mafiose. Nel 2009 viene iscritto nel registro degli indagati nella nuova inchiesta sulla strage di Capaci.

A Palermo con Contrada. È il magistrato della Dna Gianfranco Donadio che riesce a dare un nome a “Faccia da mostro”. È Giovanni Pantaleone Aiello, nato a Montauro, in provincia di Catanzaro, il 3 febbraio 1946. Si arruola in polizia il 28 dicembre 1964 e viene spedito a Nuoro. Dopo qualche anno è trasferito a Cosenza e poi a Palermo dove entra a far parte della squadra mobile comandata allora da Bruno Contrada. Contrada diventerà poi il numero tre del Sisde e sarà condannato per i suoi rapporti con alcuni boss della cupola di Cosa Nostra. Aiello viene congedato nel 1977, anche se risulta residente all’anagrafe nella caserma Lungaro di Palermo fino al 28 settembre del 1981. Sposato e poi separato con un giudice di pace, ha una figlia che insegna in un’università californiana.

Raggiunto dai giornalisti di Repubblica Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo a Montauro, un paesino sulla costa calabrese, Aiello ha negato di essere un sicario dei servizi segreti e della mafia. E ha spiegato perché il suo volto è così orrendamenrte devastato: «È il ricordo che mi hanno lasciato gli uomini della banda di Graziano Mesina. Mi hanno colpito in faccia in un conflitto a fuoco durante un sequestro di persona». Il suo ferimento sarebbe avvenuto esattamente il 25 luglio del 1967.

E qui Aiello fa un passo falso. Dice infatti una cosa della quale non esiste alcun riscontro. Nel luglio di quell’anno non risultano infatti conflitti a fuoco tra banditi e forze dell’ordine. Ce ne fu uno, drammatico, in febbraio vicino a Mamoiada in località “Funtana Fritta” dove l’agente Michele Servodidio fu colpito a morte. E risale a giugno di quello stesso anno la cosiddetta “battaglia di Osposidda”, nelle campagne tra Orgosolo e Oliena. Una squadriglia di “Baschi blu” ingaggiò un conflitto a fuoco durato un intero pomeriggio con la banda di Graziano Mesina. Nel terribile scontro persero la vita gli agenti Pietro Ciavola e Antonio Grassia e il “luogotenente” di Mesina, Miguel Asencios Prado Ponte, detto “Atienza”. Uno spagnolo che aveva disertato dalla Legione straniera.

Un anno terribile. In quel rovente 1967 caddero altri tre poliziotti sotto il fuoco dei banditi: lungo la strada statale Nuoro-Bitti il brigadiere Giovanni Mannu e l’agente Giovanni Bianchi, mentre sulla Nuoro-Orune fu ucciso l’Agente Giovanni Maria Tamponi. Ma di Aiello non si trova alcuna traccia. Per la verità, qualche ex collega, che in quegli anni difficili lavorava nella severa palazzina della questura in via Salaris, lo ricorda vagamente: «Era uno che parlava poco e se ne stava sempre per i fatti suoi». Niente di più. È anche il suo foglio matricolare, negli archivi del ministero dell’Interno, a smentire la sua versione su quella ferita al volto che lo ha trasformato in “Faccia da mostro”: “È stata provocata da un colpo partito accidentalmente dal suo fucile il 25 luglio 1967”. L’unica cosa che torna, dunque, è solo la data.

C’è anche un’altra dichiarazione di Aiello che sembra difficilmente credibile. Cioè quando racconta al giornalista Bolzoni che nel 1964 fu scelto, insieme ad altri 320 poliziotti, per partecipare al golpe organizzato dal generale De Lorenzo. Aiello però dimentica che quel tentativo di colpo di Stato era stato chiamato in codice dallo stesso De Lorenzo “Piano Solo” perché ad attuarlo dovevano essere “solo” i carabinieri. La polizia non era stata infatti considerata “affidabile” dall’ex capo del Sifar.

Chi è sempre stato convinto che Aiello facesse parte di un ambiente oscuro dei servizi segreti legato a frange della destra eversiva, è stato il magistrato della Direzione nazionale antimafia Giovanni Donadio. Fu lui il primo ad approfondire la presenza di uomini dell’intelligence a Capaci e in via D’Amelio, dove vennero uccisi i giudici antimafia Giovanni Falcone a Paolo Borsellino. Lavorando con grande discrezione aveva raccolto informazioni sul misterioso 007 biondo e con il volto devastato del quale avevano parlato alcuni collaboratori di giustizia. Come Gioacchino La Barbera.

La donna misteriosa. Secondo Donadio, “Faccia da mostro” e un’agente, chiamata “Antonella la segretaria”, erano stati addestrati in Sardegna, nella base segreta di Poglina, vicino ad Alghero. Lavoravano quasi sempre insieme. Di questa misteriosa donna parla il pentito della 'ndrangheta Consolato Villani. Ecco la sua testimonianza: «Una volta vidi quell’uomo dei servizi segreti... Mi colpì per la particolare bruttezza, aveva una sorta di malformazione alla mandibola... Con lui c'era una donna. Aveva capelli lunghi ed era vestita con una certa eleganza. Lo Giudice mi ha parlato di un uomo e una donna che facevano parte dei servizi deviati, vicini al clan catanese dei Laudani, gente pericolosa. In particolare, mi diceva che la donna era militarmente addestrata, anche più pericolosa dell'uomo».

Una talpa fece uscire la notizia dell’indagine di Donadio e l’inchiesta andò in fumo. Ma ora su “Faccia da mostro” indagano quattro procure: Palermo, Catania, Caltanissetta e Reggio Calabria.

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