La Nuova Sardegna

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La montagna e la voce dell’artista I luoghi e la poesia di Maria Lai

di Giacomo Mameli
La montagna e la voce dell’artista I luoghi e la poesia di Maria Lai

ULASSAI. La vertigine è quella del silenzio spezzato dal vento che, nelle Idi sarde di luglio, sibila nello sterrato color oro della Stazione dell'Arte. Sembra di vedere, facendo capolino da qualche...

16 luglio 2014
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ULASSAI. La vertigine è quella del silenzio spezzato dal vento che, nelle Idi sarde di luglio, sibila nello sterrato color oro della Stazione dell'Arte. Sembra di vedere, facendo capolino da qualche muro, Maria Lai con una sua capretta, o con matasse di fili, camminare a testa china sotto la cornice di montagne di lecci e olivastri, guglie spruzzate di bianco ecru fra i calcari che svettano dal versante dove il sole sta tramontando. Sotto, la vallata del rio Pardu ulula col maestrale. In fondo, un orizzonte che ti sembra vicino, il mare blu cobalto della costa orientale.

È qui, a due passi da Ulassai dove il Genio era nato nel 1919, come nelle mostre allestite a Cagliari o al Man di Nuoro, che si avverte la voce debole e forte dell'artista che parla della Sardegna dai sassi di Matera a New York. È in questo spazio senza un rumore, che si apprezza quella che Maria Lai definiva «la creatività femminile nel quotidiano». Anche oggi la presenza d'arte è data ancora dalle mani che continuano a intrecciare fili e spole, telai e cestini. «La donna che fa il pane è come una poetessa, crea», aveva detto. Come quelle mani rugose che l'8 settembre 1981 sancirono l'arte nuova del Novecento italiano con un nastro celeste che collegava le case degli uomini inquieti alle montagne delle aquile e delle poiane in volo. Lo si è capito molti anni dopo: quel messaggio era una invocazione dell'anima perché «Iddio vi protegga dal grande silenzio che urla su tutta la nostra isola». Aveva scritto queste parole nel 2006 quando un altro uomo era finito nelle mani di chi rapiva persone e sogni, annientava le prime e seppelliva i secondi. Le mordeva dentro il tormento di un'isola chiusa e silente, di famiglie mute, di case «tra loro estranee». Ecco perché legarle, unirle. Ecco perché far capire che le solitudini vanno superate col dialogo. Era stata lei, in quegli anni bui, a confessare - con spirito tra Leopardi e Schopenhauer - che «l'arte nasce dall'amarezza» ma che solo quell'arte avrebbe fatto «dolce l'esistenza».

La superba dolcezza del monumento ad Antonio Gramsci sul terreno di una stazione dove sbuffava un trenino che aveva spezzato l'isolamento dell'Ogliastra. Il treno - primo mezzo di comunicazione a fine Ottocento dopo il carro a buoi - avvicinava gli uomini così come i nastri cercavano di rendere fraterne e avvicinare le abitazioni di quegli uomini silenti. Così «l'opera diventa respiro», dà vita. E se oggi Ulassai torna sui giornali così come nel resto del mondo lo dobbiamo solo a Maria Lai che aveva plasmato i suoi tormenti in fermenti d'arte. L'aveva capita, fra tutti, un suo amico-paesano, Alberto Cannas che ha messo sugli altari - anche lui in silenzio - il valore di una donna minuta e immensa.

Poche le opere inedite. Restano le sale delle geografie con le ansie di infinito, le galassie fra cieli scuri. In un lungo tavolo bianco trionfa il valore femminile di donne che inventano il panis angelicus. Riappaiono i libri scritti con i fili perché «l'opera diventa respiro che si allarga di lettura in lettura». Diventa "arte che ci prende per mano perché - aveva detto un pomeriggio d'autunno guardando il trapezio di Monte Cardiga - «senza l'arte non saremmo uomini». Qui - non solo nella Stazione - tutto è arte, da molti ancora incompresa. Ma il seme germoglierà. Nel nome dei maestri Arturo Martini, Salvatore Cambosu, Giuseppe Dessì. Maria Lai ha dato vita immortale a un lavatoio, alle Via Crucis di ciottoli e sabbia, alle strade delle capre cucite con ferro e acciaio. C'è la lezione dolce e amara di Maria nel gioco del volo dell'oca, nei libri di terracotta smaltata dei Libretti Murati, nel telaio e nella Scarpata - primo messaggio di decoro alla Sardegna dei villaggi e delle città. Resta il fascino delle vertigini e dei suoi aforismi. Uno dei più profondi: «L'opera d'arte occupa un piccolo spazio, ma come l'atomo può sconvolgere uno spazio immenso».

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