La Nuova Sardegna

Predatori dell’arte perduta

Predatori dell’arte perduta

Ecco come si stabisce il confine giuridico tra lecito e illecito

25 luglio 2014
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SASSARI. Dubbi e interrogativi. Le ultime notizie arrivate da Roma, Londra e New York sollevano legittimi quesiti. Com’è possibile che possa venire commercializzata in maniera lecita una parte così importante della memoria storica sarda? Quali accorgimenti devono, e possono, venire messi in atto per evitare lo smercio (che magari non sarà clandestino vista la pubblicità fatta in Rete ma di sicuro suscita ugualmente allarme)? In che modo si sono regolati in passato i carabinieri del Nucleo per la tutela del patrimonio culturale per evitare la ricettazione di preziose testimonianze come quelle della preistoria e della storia dell’isola? «Intanto sotto il profilo penale non è detto che ci si trovi sempre di fronte a un illecito – spiega, facendo un discorso di carattere generale, il capitano Paolo Montorsi – Esistono infatti collezioni private munite di ogni autorizzazione». «Ma a ogni modo si dovrà distinguere qualsiasi aspetto dagli altri con precisione e cura – prosegue l’ufficiale, che a Sassari da Li Punti coordina l’attività dei militari specialisti in questo genere di operazioni per tutta l’isola – In Italia esiste una prima legislazione, che risale al 1909, secondo la quale qualsiasi reperto archeologico o fossile rinvenuto su una superficie e sottoterra appartiene allo Stato. Ma prima di allora questo divieto, che è stato poi precisato e approfondito da norme successive, non esisteva».

Quindi, come precisano ancora gli investigatori, chi è in grado di dimostrare di aver acquisito i reperti in epoca anteriore a quella data, cioè più di un secolo fa, non incorre nei rigori della legge. Del tutto diverso il caso di chi non ha certificati di autenticità che attestino questa situazione oppure quello di un quadro non documentabile sotto il profilo storico.

«Con un confronto continuo con gli archeologi e i paleontologi siamo a ogni modo in grado di fare verifiche e ottenere riscontri – prosegue il capitano Montorsi – Naturalmente si tratta di un lavoro delicato, articolato e complesso, che a volte richiede molti approfondimenti specialistici».

E che a prescindere dai singoli casi – è naturale aggiungere – solleva un’ultima domanda sul mondo dei saccheggiatori della Sardegna perduta che ancora vivono di razzie e scavi clandestini: su quali omertà e connivenze possono contare per continuare a prosperare grazie a questi commerci vergognosi fatti a discapito di tutti i sardi? (pgp)

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