Faber, contadino e pastore nel paradiso dell’Agnata
Successo del docufilm di Gianfranco Cabiddu su De André in Sardegna
ROMA. Alla fine della proiezione del film “Faber in Sardegna” di Ganfranco Cabiddu (nella foto della Film Commissione Sardegna, con Dori Ghezzi l’altra sera a Roma) quei lunghi applausi del pubblico volevano significare non solo l’apprezzamento per il lavoro del regista ma anche un tributo al più sardo dei non sardi che abbia ospitato l’isola: Fabrizio De André.
Applausi meritati alla pellicola, che sarà in distribuzione nelle sale da gennaio. E applausi anche ad una operazione (quella portata avanti dalla Film Commissione regionale) che, grazie al film di Cabiddu, ha saputo creare un prodotto che sa raccontare la Sardegna, i suoi silenzi, la sua cultura.
«Abbiamo ancora molto da raccontare- dice Nevina Satta della Film Commission Sardegna. Abbiamo ancora molti archivi da esplorare e trasformare in bei film».
«Sono molto contento di come è venuta la pellicola– dice Cabiddu– E sono soddisfatto dell’accoglienza da parte del pubblico, domenica sera nell’auditorium del Parco della Musica. E’ stato un test importante e a giudicare dall’accoglienza, non solo da parte del pubblico, siamo autorizzati a credere che la pellicola potrà avere un buon futuro».
Un film, quello di Cabiddu che ha il pregio di regalare al pubblico un De André diverso, intimo. «Fabrizio– racconta Dori Ghezzi, la sua compagna– non considerava la casa dell’Agnata come quelle residenze che hanno alcune persone nel Chianti. Lui aveva deciso di non fare più il musicista per fare l’allevatore e il coltivatore.»
«Non solo– spiega nel film l’architetto Renzo Piano– Fabrizio aveva deciso di migliorare tutta la zona intorno alla vecchia casa ottocentesca, facendo una diga e avviando un importante opera di rimboschimento».Non è un caso- diceva ieri il regista– «se come manifesto del film abbiamo scelto la foto di Fabrizio, con l’immancabile sigaretta in bocca e le mani sporche di terra, come gli capitava quando faceva lavori in campagna o nell’allevamento di capi bovini Limousine». Abitualmente De André stava sveglio di notte e dormiva la mattina fino a tardi. «Di notte– racconta il suo fattore Filippo Mariotti– ci è capitato spesso di fare tardi per far nascere i vitellini. Ogni tanto vedevo che la sua mente si perdeva in mille pensieri. Un giorno mi ha detto a bruciapelo: “Filippo, che cosa sono le nuvole?”. Io mi sono fatto una risata: “ E io che cosa ne so che cosa sono le nuovole?”». Fabrizio con i suoi vicini contadini e allevatori parlava in gallurese, un gallurese bello, antico, colto. Perchè lui studiava e indagava sull’origine di alcune parole, spesso, passate di moda.Una delle pagine più delicate del film è quella in cui si parla del sequestro di cui fu vittima insieme alla sua compagna. Il racconto è affidato a Paolo Casu, un’amicizia antica con i De André (suo padre era stato attendente del padre dell’artista, durante la guerra). Un racconto asettico, senza un accento o una parola fuori posto, ma che fa capire come i due artisti abbiano assorbito quella pagina triste, con intelligenza.
Un’altra pagina molto bella del film è quella della caccia grossa, cruda, realistica.
«Mi ha fatto impressione– ha detto Dori Ghezzi, domenica sera– il modo con cui i cani si accaniscono contro un cinghiale appena cacciato. Ma è l’unica cosa che mi ha un pochino disturbato nel film».
«Peccato che non sottolinei- ha osservato con un filo di ironia Cristiano De André – che mio padre era anche un bravo pescatore...». Ciliegina sulla torta, a fine proiezione, l’omaggio musicale raffinatissimo a Faber di Paolo Fresu, Rita Marcotulli e Maria Pia De Vito