«L’oggi è stato pensato dalla politica di ieri»
Sergio Berlinguer parla del suo saggio di memorie
SASSARI. «Napolitano si è mosso sulla linea di Cossiga: sollecitare riforme non dei principi fondamentali della Costituzione ma della seconda parte della Carta». L'ambasciatore Sergio Berlinguer è convinto che ci sia una stretta continuità tra Prima e Seconda Repubblica. A lungo braccio destro dell'ex presidente sassarese e oggi autore di un saggio di memorie su aspetti inediti del periodo compreso tra anni ’70 e ’90, l’ex diplomatico è convinto che l'eredità lasciata da Cossiga sia tuttora rilevante.
Ma che cosa esattamente l'ha spinta a scrivere quest'opera?
«Quando sono andato in pensione come consigliere di Stato, abituato da sempre a lavorare, ho pensato che sarebbe stato utile rivedere in modo critico i miei appunti. Il risultato è condensato in "Ho visto uccidere la Prima Repubblica", edito da Delfino».
Che cosa ha annotato, allora, sulle posizioni circa i riassetti istituzionali?
«Spunti che mi paiono ancora attuali. Andreotti, per esempio, non era d'accordo su quelle riforme. Mentre Napolitano, che è sempre stato legato da un rapporto di simpatia col suo predecessore, ha riproposto quello che Cossiga suggeriva 25 anni fa».
Per quale motivo ritiene che non ci sia stata frattura tra Prima e Seconda Repubblica?
«Perché basta cambiare qualche nome e subito si capisce la continuità, il filo, che lega questi due periodi».
Attraverso quali processi si è realizzato questo percorso di condivisione?
«Le linee politiche, allora e oggi, hanno seguito una strada omogenea. Quello a cui assistiamo adesso è la conseguenza dei presupposti fissati dalla vecchia classe dirigente».
Lei nel libro pubblica una lettera del presidente Usa Jimmy Carter che ringrazia Cossiga a proposito degli Euromissili nel 1979: può dire qualcosa di più?
«Cossiga ebbe il grande merito di portare gli Stati Uniti su una posizione più ragionevole. Fu il nostro presidente del Consiglio a ottenere la gestione bilaterale basata sulla doppia chiave: il che voleva dire, nel caso di attivazione degli armamenti nucleari sul suolo nazionale, che avrebbe dovuto esserci il sì congiunto da parte nostra come da parte Usa».
Una vicenda nella quale lei ebbe un ruolo di rilievo: è così?
«Beh, naturalmente gli accordi li fanno gli statisti. Io all'epoca ero consigliere diplomatico di Cossiga e ho seguito il caso. Ma è stato Cossiga a scrivere una pagina importante che ha consentito all'Italia di riacquistare peso sullo scacchiere internazionale e farci uscire a testa alta».
Ci furono altri riconoscimenti?
«Si profuse in ringraziamenti per il nostro presidente Margaret Thatcher, con un'altra lettera che allego nel mio libro. E questo, per la diplomazia e per il governo britannici, non è usuale. Soprattutto da parte della Lady di ferro: lei non era solita dispensare lodi».
Nelle sue memorie ci sono passaggi che riportano alla Sardegna: come vedeva da Roma i fatti dell'isola Cossiga?
«Lui era un timido. E forse perciò l'impressione che ha dato di sé e dei suoi rapporti con la Sardegna è profondamente diversa dai sentimenti che nutriva effettivamente. In realtà era legatissimo alla nostra terra. E così seguiva sempre ogni singolo fatto di rilievo politico in corso tenendosi aggiornato in continuazione».
Può citare qualche caso?
«A metà anni ’80 intervenne quando De Mita diede del "mezzo terrorista" al presidente sardista della giunta regionale Mario Melis in un'intervista realizzata da Alberto Statera e pubblicata sulla "Nuova". Tanto che fu promossa una riunione alla Farnesina. Io partecipai su sollecitazione proprio di Cossiga. E a Melis, persona stimabilissima, vennero confermati riconoscimenti sull'autonomia regionale di certi settori: dai rapporti commerciali a turismo e trasporti».
Lei, cugino di Enrico Berlinguer, sassarese come il segretario del Pci e come Cossiga, che ricordi ha dei colloqui confidenziali tra questi uomini che scelsero posizioni politiche tanto differenti, uno comunista e l'altro democristiano?
«Sul piano istituzionale ci sono stati rapporti importanti per gli Euromissili e in altre occasioni. Ma al di là degli aspetti ufficiali i contatti erano frequenti. Spesso si vedevano, lontano da occhi indiscreti, nella casa di un altro parente sassarese, Stefano Siglienti, a Grottaferrata, vicino a Roma. La moglie di Siglienti era sorella del padre di Enrico, Mario, e di mio padre, Aldo».
Quali invece le sue relazioni con il cugino Enrico?
«Sono stati rapporti soprattutto di parentela. Ma rispetto a Cossiga ci vedevamo meno perché ci separava una generazione. Comunque capitava d'incontrarci anche qui in Sardegna. Per esempio, in vacanza a Stintino, magari in barca a vela».
Tornando alle questioni nazionali, sulla scia delle esperienze passate che cosa prevede per i prossimi mesi?
«Mah, io ormai sono al di fuori di qualsiasi impegno operativo. Però resto sempre un italiano interessato alle sorti del Paese. E negli ultimi tempi ho notato che a Napolitano è stato richiesto un logoramento eccessivo, un sovraccarico di fatica, soprattutto se si considerano i suoi 90 anni».
Il capo dello Stato lascerà il Colle prima di Natale? Renzi resisterà o ci sarà la crisi di governo col voto a primavera?
«Le ipotesi di imminenti dimissioni non mi meravigliano, ma un po' mi preoccupano. Proprio perché in questi anni Napolitano ha svolto un ruolo determinante. Quanto al presidente del Consiglio, mi domando anch'io come la situazione si potrà risolvere».
Lei che ne pensa, ambasciatore Berlinguer?
«Sono rimasto favorevolmente impressionato dall'impegno e dall'attività svolta da Renzi. E non lo sottolineo per motivi di piaggeria, visto che non lo conosco neanche di persona. Mi limito a dire che di solito, per carattere, sono pessimista».
Invece, adesso?
«Stavolta, nell'interesse dell'Italia, preferisco essere ottimista. Così mi piacerebbe che i proponimenti di Cossiga potessero trovare uno sbocco pacato e ragionevole da parte dell'attuale classe politica».
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