La Nuova Sardegna

L’archeologo: «Benne? Da evitare»

di Pier Giorgio Pinna
L’archeologo: «Benne? Da evitare»

Mario Torelli: «Ma ho più paura di procedure e scelte amministrative sbagliate»

26 luglio 2015
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SASSARI. «Non va bene che scavi così importanti siano affidati a chi non ha competenze sulla civiltà nuragica di livello universitario». Il grande archeologo Mario Torelli, accademico dei Lincei, è soddisfatto delle ultime scoperte, ma non del modo col quale la campagna va avanti a Mont'e Prama. «Non capisco come sia stato possibile assegnare alle sole soprintendenze uno strapotere che ha portato all'esclusione delle università _ attacca _ Mi rendo conto che ci sono stati cambiamenti normativi. Però alcuni passaggi per me restano inspiegabili. Come mai è stata usata una ruspa che di norma non è uno strumento al quale si fa ricorso in questi casi? E perché i lavori sono stati dati a una cooperativa emiliana? Saranno pure giovani bravissimi: mi domando tuttavia che cosa sappiano della storia e dell'arte dei progenitori dei sardi».

Torelli non è uno studioso qualsiasi e parla con precisa cognizione di causa anche dei Giganti. Docente all'università di Cagliari dagli anni Sessanta sino al 1974-75, nel periodo dei primi ritrovamenti a Mont'e Prama, ha ricoperto prestigiosi incarichi nel corso della lunga vita professionale in Italia e all'estero: da Roma a Tarquinia e a Paestum, da Heraclea al Colorado, alla California e al Canada. Ha ricevuto lauree honoris causa dalle università di Tübingen (in Germania) e di Jaén (Spagna). Curato l'allestimento di parecchie mostre, tra le quali Gli Etruschi a Palazzo Grassi (novembre 2000- luglio 2001) e L'Iliade al Colosseo (2006). Nel frattempo ha continuato a frequentare l'isola, dov'è tornato più volte per ragioni di lavoro. Tanto che adesso ha appena finito di promuovere, curare e far pubblicare - sempre per l'Accademia dei Lincei - un volume interamente dedicato ai Guerrieri e ai Pugilatori che il mondo sta imparando a conoscere almeno quanto i Bronzi di Riace.

Oggi così il professore conserva il piglio di un ragazzo, tenace e combattivo come sempre. Soprattutto: non resta indifferente rispetto ai nuovi sviluppi legati alle eccezionali scoperte in atto nell'Oristanese e alle polemiche che ruotano attorno a Cabras. «Mi preoccupano le ruspe e i danni che possono procurare, ma ancora di più certe procedure e scelte amministrative sbagliate _ spiega il professore _ In scavi del genere, come prassi, non si fa ricorso a mezzi meccanici. Io per esempio in tutta la mia attività non me ne sono mai servito: perché in linea di principio non si adoperano. Anche se in concreto, quando si è accertato che sotto un certo numero di centimetri di terreno non esiste rischio di danneggiare il sito, si possono impiegare. Ma, lo ripeto, sono altri aspetti che temo di più».

Quali, professore? «Il fatto che da una ricerca tanto importante vogliano tagliare fuori gli atenei di Cagliari e Sassari e in generale fare a meno del ruolo dell’università», risponde il docente. «In passato la soprintrendenza è stata talmente protagonista a Mont'e Prama che ci sono voluti 35 anni per unificare i risultati d'indagine sui due scavi iniziali a poche decine di metri uno dall'altro _ incalza _ Poi per troppo tempo la grandiosità dei ritrovamenti è stata dimenticata, sino a quando non è cominciato il prodigioso restauro compiuto nel Centro di Li Punti, vicino a Sassari. Così ora non comprendo né giustifico i passaggi più recenti». «Sino a qualche tempo fa l'università sarda era in grado di seguire al meglio gli scavi e garantire la partecipazione costante di un gruppo sul terreno formato da ricercatori sempre presenti – aggiunge – Oggi vedo l'attenzione, il coordinamento e il voler essere presente del soprintendente regionale Marco Minoia, eppure scorgo difficoltà nell’affrontare le questioni che si possono via via presentare».

«La realtà è che, più nel complesso, la tutela del patrimonio culturale attraversa in Italia un momento drammatico: quando si pensa di portare le soprintendenze all'interno delle prefetture, una cosa demenziale che ridurrebbe a questioni di ordine pubblico l'intera salvaguardia dei beni, si comprende bene a quale punto stiamo arrivando», è la conclusione dell'accademico dei Lincei.

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