«Casa Gramsci è la nostra identità No alla chiusura»
La struttura museale al centro di Ghilarza arranca con le risorse utili alla programmazione
GHILARZA. Casa Gramsci è in pericolo. A rischio di chiusura. Un simbolo identitario forte per il popolo della sinistra, ma anche e soprattutto della Sardegna, corre il pericolo di essere consegnato all’oblio, e quindi ad una perdita della memoria se non si interviene subito, assumendo il problema come questione culturale “tout court”. Al pari appunto di altri beni dove è impresso il Dna di questa terra e dei suoi figli più importanti. Quale fu appunto Antonio Gramsci, nato ad Ales e poi vissuto a Ghilarza, nella piccola casa al centro del paese, prima di diventare l’intellettuale e il rivoluzionario conosciuto e studiato in tutto il mondo.
A lanciare l’allarme con un pezzo appassionato è stato mercoledì il giornalista e saggista Andrea Scanzi dalle pagine del “Fatto Quotidiano”. La Casa Gramsci, amministrata e diretta come centro culturale con spirito di sacrificio da un pugno di volontari dell’Associazione intitolata alla Casa, ha bisogno urgente di certezze. Economiche soprattutto. La Regione, attraverso l’assessorato alla cultura e pubblica istruzione interviene con un contributo attorno ai 40 mila euro in via di erogazione questi giorni (riferiti allo scorso anno), mentre da tempo mancano quei 15 mila euro che prima il Pci e poi i Ds provvedevano a versare. Soldi importanti e necessari per la manutenzione dello stabile. Odoardo “Dado” Cagli, toscano originario di Viareggio, da oltre trenta anni nell’isola e da venticinque, memoria tra le più appassionate dell’associazione Casa Gramsci, presieduta da Giannella Cabiddu, di cui è componente del direttivo, non mostra alcun dubbio.
«Il rischio che Casa Gramsci possa chiudere c’è – dice – ed è serio. Ogni anno siamo appesi a un filo per i finanziamenti. Partiamo da una considerazione: l’associazione è composta da volontari che dedicano il proprio tempo libero, e anche denari, per quello che è luogo di studi e di ricerca e centro museale. La casa resta infatti aperta grazie alla collaborazione di studenti universitari e questo di fatto assorbe le risorse che ci vengono erogate dalla Regione. In estate infatti abbiamo tre giovani contrattualizzati che tengono aperta la Casa e fanno da guida ai visitatori (5/6 mila all’anno da tutto il mondo). Questo anno la Regione ci dà 40 mila euro, finanziamento riferito al 2014. Nonostante la loro buona volontà, si tratta di un finanziamento largamente inadeguato per l’attività che svolgiamo. Purtroppo è mancato anche il finanziamento del Pci e poi dei Ds».
Da quanto siete rimasti sprovvisti di quell’aiuto?
«Il contributo ammontava a 15 mila euro, e ha cessato, senza spiegazioni, dal 2008-2009. Le mura della Casa appartengono alla Fondazione Berlinguer, presieduta da Francesco Berria, mentre il percorso museale è dell’associazione. Quei soldi servivano per le opere di manutenzione, di cui ci siamo sempre fatti carico, togliendoli fuori dal nostro bilancio. Anni fa ad esempio un’infiltrazione d’acqua ha minacciato di rovinare tutti i documenti. Comunque dalla Fondazione ci hanno fatto sapere che non hanno soldi. Ma a noi come cittadini risulta diversamente. Proprio una settimana fa il Parlamento non ha rifinanziato i partiti politici? I Ds d’altra parte, forse è una mia personale interpretazione, non sono mica scomparsi».
L’assenza di risorse certe a questo punto rende difficile l’attività.
«Di fatto impedisce la programmazione. Si pensi al 2017 all’ottantesimo anniversario della morte di Gramsci, una scadenza che non andrà sottovalutata. Si veda il caso della Gramsci Summer School, attivata lo scorso anno, grazie al contributo della Fondazione del Banco di Sardegna e che qui ha richiamato decine di studiosi da tutto il mondo. Bellissimo, certo, ma sono finanziamenti limitati nel tempo. Invece anche su questo la Regione dovrebbe farci un ragionamento serio su base pluriennale».
Molti i biglietti e le telefonate di solidarietà. Anche dal Pd?
«Tantissimi i messaggi che sono giunti da tutta Italia. Dal Pd non abbiamo sentito nessuno. Neanche una telefonata. Siamo dispiaciuti e abbiamo un po’ la sensazione che si sia allontanato. E di questo non è che ne siamo contenti»