Sognando l’Armenia I melograni di Marras
Milano, ieri la nuova collezione dello stilista di Alghero Una linea originale ispirata dal cinema di Sergej Paradžanov
MILANO. Una storia da raccontare, un personaggio da (ri)conoscere, da cui partire per creare, un universo lontano e vicino fatto di frammenti, ricordi, linearità e follia: ecco il visionario Antonio Marras di nuovo in passerella, ieri, alla Fashion week milanese, questa volta con la sua prima linea per la primaverastate 2016.
Lo stilista di Alghero ci conduce con le sue creazioni, ricche di stratificazioni, ricami, assemblaggi - apparentemente azzardati - e ornamenti su acconciature, che diventano dettagli comunicativi e simbolici, nell'Armenia evocata e sognata da un regista del Novecento: Sergej Paradžanov. “La collezione nasce da una visione televisiva alle 4 del mattino, anni fa – ci racconta l'artista - grazie a Ghezzi e alla sua trasmissione “Fuori Orario”. Vedo immagini bellissime e non so di che regista si tratti, aspetto fino alla fine e poi scopro che si chiama Paradžanov, un signore armeno a tutti gli effetti, anche se non nasce in Armenia, figlio di un antiquario, persona molto colta e raffinata amante del cinema italiano di Fellini e Pasolini, e dell'opera lirica . Non fa tantissimi film, il più importante in italiano si chiama “Il colore del melograno” (1968), il cui titolo originale è “Sayat Nova”, ed è la storia di un poeta (riconosciuto come il più grande poeta armeno del Settecento, ndr) che lui fa interpretare ad un'attrice che recita anche il ruolo dell'amante: questo crea grande scandalo». L'alchimia tra Marras e Paradžanov è evidente; i collage del secondo sono concepiti come le creazioni del primo: i Piatti rotti di un'opera dell'armeno appaiono subito sull'abito lungo sensuale che apre la sfilata, per poi essere il leit motiv dell'evento.
Le linee pulite dei caban, delle camicie castissime e degli ampi pantaloni sono impreziosite da righe, incrostazioni, macramè, passamanerie. I colori tenui dell'avorio, sabbia, piombo, fino al testa di moro, passando per ori e bronzi, sono investiti da audaci macchie di colore: il rosso del melograno, il turchese e il bianco immacolato. Abiti ineffabili, leggeri come ali di farfalla posati su canottiere di cotone a coste, ricordano “un gioco di bambina che si veste da grande”come suggerisce Marras, che trova taffettà, lino e organza nell'armadio delle meraviglie, e con questi tessuti compone lineee allungate, assimetriche e ampie. Gli accessori hanno uno spazio d'eccezione: scarpe col tacco in legno, sneakers, sandali con la para, impreziositi da pellami laminati o pitonati, lavorati in disegni geometrici o righe, che danno luce agli abiti che completano.
Lo stilistaarratore vede nell'Armenia forti similitudini con la Sardegna: sono terre che entrano nell'anima dei loro figli sparsi in tutto il mondo. Così come il processo creativo di Paradžanov, il suo stile di vita, è affine a quelli di Antonio Marras: «Io ho un processo di accumulo, assemblaggio e stratificazioni nelle cose che faccio e anche nelle cose che mostro. Qualcuno mi rimpovera che sarebbe più facile leggere i miei abiti in maniera più semplificata più lineare, in realtà credo che sia più interessante l'eccesso, della noia, preferisco la stravaganza, anche la stonatura, la stortura che può sconfinare nel brutto piuttosto che il bello noioso di per sé».