La Nuova Sardegna

La Fondazione chiede spazio alla Bper

Il presidente Cabras spiega il mancato rinnovo del patto parasociale: «Con i nuovi scenari c’era il rischio di sparire»

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CAGLIARI. Meglio mettere le mani avanti oggi, per evitare un domani di essere schiacciati, o peggio ancora messi a tacere. L’ultimo messaggio della Fondazione Banco di Sardegna è forte e chiaro: non ha nessuna intenzione di finire prima o poi ostaggio della Banca popolare dell’Emilia Romagna. È vero che di questi tempi l’allarme potrebbe apparire persino esagerato: i rapporti fra i due soci del Banco di Sardegna (la Fondazione ha il 49 per cento delle azioni, l’istituto romagnolo poco più della metà) sono ancora buoni se non ottimi, ma nei prossimi mesi molto potrebbe cambiare. È questo il presagio o retroscena che due giorni fa ha spinto la Fondazione a bloccare il rinnovo automatico del patto parasociale, cioè dell’accordo che da sempre e in particolare negli ultimi tre anni ha regolato la convivenza (felice) fra gli azionisti. A svelare cos’è accaduto lunedì’ 26 ottobre è stato il presidente della Fondazione. «Siamo stati noi – ha detto Antonello Cabras – a sollecitare la rinegoziazione: era ed è stata una scelta indispensabile e necessaria». Sia chiaro: la Fondazione non l’ha fatto in nome di un comunque sempre possibile rigurgito d’indipendentismo bancario, i motivi sono stati altri e molto tecnici. Il primo: «Entro la fine del 2016 – ha proseguito Cabras – la Bper da banca popolare diventerà società per azioni e quindi potrebbe cambiare pelle chi finora è stato l’unico nostro interlocutore». Il secondo: «Entro i prossimi cinque anni – ha detto ancora il presidente – dovremo vendere dall’8 al 9 per cento delle nostre azioni del Banco, nel rispetto di quanto previsto dal ministero dell’Economia. E cioè: le Fondazioni non possono avere impegnato più di un terzo del loro patrimonio in un solo investimento, come invece è per noi adesso con la quota nel Banco». Fatte queste premesse e ipotizzato lo scenario appena descritto, se la Fondazione avesse rinnovato il vecchio patto, nei prossimi anni non avrebbe potuto far valere la clausola del «blocco di opposizione» proprio perché proprietaria di meno del 49 per cento. E quella clausola non è certo di poco conto: vieta qualunque fusione o incorporazione se a ratificarle non sono almeno i due terzi degli azionisti e dunque – se si vuole essere spicci – ha evitato fino ad oggi che il Banco sparisse all’improvviso dalla faccia della terra per decisione di un solo socio. Nella nuova proposta, la Fondazione ha chiesto che lo stesso blocco sia riconosciuto anche se il suo pacchetto azionario dovesse diminuire, o dimezzarsi e scendere addirittura al 20,1 per cento. Senza questa correzione, un domani sarebbe costretta a subire la volontà di chi ha la maggioranza, la Bper, fino a essere relegata a semplice testimone o ostaggio della volontà altrui. Il confronto sul nuovo Patto, che da d’ora in poi dovrebbe essere rinnovato di anno in anno, è appena cominciato. Non c’è per la verità aria di guerra. «È una trattativa in corso – ha detto Cabras – ma sotto il segno dell’assoluta collaborazione, lealtà, rispetto e valorizzazione del Banco di Sardegna». Certo, molto potrebbe cambiare con la trasformazione della Bper in Spa, chi saranno i nuovi soci?, e forse qualcosa è già cambiato. Il presidente della Fondazione non ha nascosto di essere preoccupato per gli effetti che il piano di riorganizzazione del Gruppo bancario romagnolo potrebbe avere sulla Sardegna: è prevista tra l’altro la chiusura di diversi sportelli in alcuni Comuni prossimi allo spopolamento. «Non spetta a noi – ha detto Cabras – entrare nel merito della gestione, ma sia chiaro: è e sarà un nostro dovere difendere la specificità dell’isola e lo facciamo sempre in tutti i consigli d’amministrazione del Banco di Sardegna». (ua)

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