La Nuova Sardegna

Ganau: una valanga di sì per difendere i nostri mari

di Alessandro Pirina
Ganau: una valanga di sì per difendere i nostri mari

Il presidente del Consiglio regionale leader del fronte anti trivellazioni: «Quorum difficile, ma daremo un segnale al governo. Pigliaru? Ha chiarito»

14 aprile 2016
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SASSARI. È stato il primo nell’isola a sposare il fronte anti trivelle, riuscendo a riunire sotto un’unica bandiera tutti i partiti presenti in Consiglio. E ora che mancano poche ore alla apertura dei seggi, col suo Pd frammentato tra favorevoli, contrari e astensionisti, Gianfranco Ganau sogna di portare a casa il risultato. Raggiungere il quorum sembra un miraggio, ma lui ci crede e in queste ultime giornate di campagna elettorale sta girando in lungo e in largo l’isola per convincere i sardi a mettere la croce sul sì.

Presidente, perché domenica bisogna votare sì?

«Questo referendum rappresenta una scelta strategica per il nostro Paese. Votare sì significa confermare gli impegni presi a livello internazionale, proiettarci verso l’energia rinnovabile e verso una progressiva dismissione dalla dipendenza dai carburanti fossili».

I contrari parlano di un referendum inutile, vanificato dalle politiche del governo.

«Noi abbiamo presentato sei quesiti perché è inaccettabile che alle regioni vengano sottratte le competenze sulle autorizzazioni. Scelte che devono essere fatte dai territori. Su cinque il governo ci ha risposto. Ne è rimasto uno solo di cui evidentemente i contrari non colgono il significato profondo e strategico. Finalmente è stato deciso che entro le 12 miglia non si possa trivellare. Anche il governo ha condiviso che ci sono impatti e rischi di tipo ambientale e strutturale che devono essere limitati. Ma non capisco perché debbano essere prolungate a tempo indefinito le concessioni che hanno una scadenza».

Il fronte del no (e soprattutto dell’astensione) ritiene che la vittoria del sì sarebbe dannosa per il Paese.

«Ma non è vero, quello che chiede il quesito referendario non è altro che il rispetto degli impegni sottoscritti nell’accordo di Parigi. Firma che prevede che entro il 2040 l’Italia riduca del 40 per cento la dipendenza dal fossile. Queste trivelle hanno una capacità di soddisfare l’uno per cento del fabbisogno nazionale. Una cifra assolutamente irrisoria. In caso di vittoria del sì non succederà nulla il giorno dopo. Le concessioni andranno a scadenza naturale, qualcuna tra 4 anni, le più lontane fra 25. Abbiamo un periodo di almeno di 10 anni per fare la transizione. Se non possiamo rinunciare all’uno per cento del fabbisogno entro 10 anni come possiamo pensare di ridurre del 40 per cento la dipendenza dal petrolio e dai minerali fossili entro i prossimi 26?».

In tal modo l’Italia - sostiene il no - non sarebbe penalizzata per la perdita delle royalties delle società petrolifere?

«Parliamo di poche decine di milioni di euro. Il 60 per cento delle piattaforme sono vecchie e non pagano royalties. Votare sì significa evitare che si ripeta quello che è accaduto a Porto Torres col Petrolchimico, dove è andata via l’industria, nessuno ha fatto le bonifiche e sono rimaste solo macerie».

E le ricadute sui posti di lavoro?

«Dopo la vittoria del sì non succederà niente. Come ho già detto, abbiamo di fronte un periodo di almeno 10 anni per la riconversione, per passare dal petrolio alle energie rinnovabili. I posti di lavoro possono quadruplicarsi».

Il referendum, anche alla luce dell’inchiesta di Potenza che sta scuotendo il governo, può essere uno strumento per difendere gli interessi collettivi?

«Io sono per sbloccare l’Italia, semplificare, eliminare la burocrazia, fissare tempi certi. Ma non voglio eliminare regole e controlli. Il caso Tempa Rossa è un esempio. Non andava avanti per l’opposizione della Basilicata alle concessioni ed è diventata una questione di Stato. Ma sottrarre ai territori anche un solo parere è sbagliato, comporta rischi».

C’è che sostiene che il referendum non riguardi la Sardegna.

«Non è vero, ci riguarda eccome. La Sardegna è all’interno di un piano energetico nazionale che deve essere ancora definito. L’isola, tra l’altro, è interessata da progetti di trivellazione. Sia per indagini in mare, in una superficie a nordovest più grande della stessa Sardegna, che sulla stessa isola, per esempio nella zona di Arborea».

Il referendum è diventato anche un caso politico, con il suo Pd schierato per la astensione.

«Il Pd è un grande partito pluralista, dove è normale ci siano anche posizioni contrastanti. Quello che non ho accettato è che il governo e il segretario inizialmente abbiano dato indicazione per l’astensione. Credo sia quanto di peggio si possa fare, un segnale bruttissimo che fortunatamente è stato poi corretto con la libertà di coscienza».

Anche il governatore Francesco Pigliaru sembrava orientato verso l’astensione, ma alla fine ha detto che voterà no.

«Conoscevo già la sua posizione e non mi scandalizza. Sono contento abbia chiarito. Ovviamente non concordo sulla valutazione che dà al referendum».

Ma il quorum sarà molto difficile da raggiungere.

«È scommessa ardua da vincere, ma una grande partecipazione e l’affermazione del sì sarebbero comunque un segnale forte al governo».

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