«Il massacro di innocenti ha radici nell’ignoranza»
Per la teologa musulmana Shahrzad Houshmand servono scelte lungimiranti «Questi sedicenti terroristi islamici non conoscono nemmeno il Corano»
ROMA. «La cosa più difficile, ma anche la più urgente, è evitare che l’orrore ci porti a scivolare nell’emotività. Perché è chiaro che di orrore si tratta: di un orrore profondo e trasversale, che oltrepassa le appartenenze religiose e le provenienze geografiche». Il giorno dopo l’attentato di Saint-Étienne-du-Rouvray, la voce della teologa musulmana Shahrzad Houshmand Zadeh è ancora scossa: si sente colpita al cuore «come essere umano, prima ancora che come musulmana e come cittadina europea». Vissuta tra l’Iran - dove è nata - la Francia e l’Italia, insegna alla Pontificia Università Gregoriana e alla Sapienza di Roma.
Nell’antichità inventarono il diritto di asilo e nell’era cristiana lo estesero alle chiese: chi vi si rifugiava era protetto. Con i fatti di Rouen è caduta anche l’ultima barriera?
«L’ultima barriera, in realtà, era caduta già da tempo: da anni i terroristi hanno cominciato a entrare nelle moschee per sgozzare i fedeli in preghiera, hanno distrutto mausolei antichi e luoghi di culto. È vero, ora la società europea sta toccando con mano questo orrore perché lo sperimenta al proprio interno, ma purtroppo è una barbarie che si ripete spesso nel mondo islamico. A testimonianza del fatto che non si tratta di una guerra di religione, ma di una guerra e basta, che non conosce più confini di nessuna sacralità».
Una guerra con quali radici, se non religiose?
«Quali radici aveva la seconda guerra mondiale, che ha fatto 50 milioni di morti? Quali radici ha il massacro degli innocenti a varie latitudini? Il terreno fertile delle guerre è sempre lo stesso: povertà e ignoranza. Poi, se vogliamo parlare di scuse perché un conflitto abbia inizio, allora si può tirare in ballo anche l’interpretazione di un testo religioso; lo stesso, però, vale anche per testi che religiosi non sono, se pensiamo alle vittime di comunismo e nazismo».
Ma qui si parla di terrorismo islamico.
«Anche su questo invito a una riflessione. L’espressione “terroristi islamici”, infatti, è comoda, ma teologicamente questi assassini non sono nemmeno musulmani: il Corano dice che chi uccide un solo innocente uccide l’umanità intera. Per me bisognerebbe chiamarli terroristi e basta, senza aggettivi: oltre tutto, il 98 per cento delle loro vittime è musulmano, quindi l’approccio della guerra di religione è debole anche da un punto di vista logico: la matrice è politica, non religiosa, e vorrei che l’Europa lo capisse. Un miliardo e 700 milioni di musulmani nel mondo non possono portare la responsabilità di persone manipolate e ignoranti, che entrano ed escono dal carcere, o magari sono anche psicopatiche e sotto farmaci.
Che cosa farebbe, lei, al posto dell’Europa?
L’Europa è anche casa mia, visto che ho passato qui più di metà della mia vita, e vorrei che usasse tutta la propria intelligenza e sapienza, per non ricadere negli errori commessi nella seconda guerra: le scelte che si compiono oggi saranno determinanti tra vent’anni, quando magari il continente sarà ancora più plurale. A Londra, per esempio, c’è già un sindaco musulmano, e non sarà l’ultimo nel continente. Ora e nei prossimi anni bisogna dunque lavorare tutti insieme, puntare sulla fraternità e sulle intelligenze diffuse, sfruttare il capitale umano che ai musulmani certo non manca, a cominciare da quelli che sono in Italia e la amano: isolarli potrebbe produrre l’effetto contrario».
Alcuni, anche nella Chiesa, ritengono che il clima attuale sia il frutto dell’approccio disarmato di Papa Francesco nei confronti dell’Islam.
«Io credo invece il contrario, e cioè che il Papa stia costruendo la pace dalle fondamenta. Il dialogo interreligioso sta portando frutti e, sul fronte musulmano, coinvolge importanti figure di diverse scuole teologiche; allo stesso tempo, Francesco continua a toccare il cuore di milioni di musulmani. Il suo approccio è l’unico possibile, se non vogliamo finire stritolati da quella fabbrica della paura che, anche sui media, domina ormai il dibattito».
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