La Nuova Sardegna

Il Pd implode e Soru attacca «In ostaggio di 4 cariatidi»

di Umberto Aime

Assemblea a Oristano: l’accordo non c’è, salta l’elezione del segretario L’area Cabras-Fadda abbandona la sala, tutto rinviato al 5 settembre

06 agosto 2016
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CAGLIARI. Niente segretario, niente numero legale, niente assemblea se non uno «sciacquarsi la bocca» informale ma in pubblica piazza. Davanti a un terzo del partito in sala e a un Renato Soru all’attacco, ma con il resto dei delegati ai giardinetti, al bar o già verso casa. Peggio di così non poteva andare al Pd sardo in crisi da otto mesi e lo sarà almeno per altri trenta giorni. L’assemblea è stata aggiornata al 5 settembre da una sempre più preoccupata presidentessa, Giannarita Mele, dopo quasi tre ore di snervante attesa del direttorio. A sua volta riunito in conclave, dalle 15 alle 18, nella stanzetta vicino alla piscina. Perché mentre il Pd si prendeva a botte, ancora una volta, nell’albergo scelto, a mollo c’erano un bel po’ di turisti.

Ai Democratici di «casa nostra» il tuffo carpiato non è riuscito: si sono schiantati. La candidatura del consigliere regionale Piero Comandini, sostenuto da una possibile nuova e inedita maggioranza formata da renziani, ex Diesse e soriani, non ha superato il veto delle altre correnti. I popolari-riformisti del gruppo Cabras-Fadda-Lai-Ganau hanno detto no, con questa motivazione: «Gli altri non hanno voluto mettere in discussione il posto di capogruppo in Consiglio e senza questa clausola non si poteva andare avanti». Gli ex civatiani hanno detto lo stesso no: sono studi dei caminetti e avrebbero preferito il confronto a viso aperto. Senza il voto di tutti, Comandini non poteva passare come segretario di garanzia e traghettatore fino al congresso straordinario dopo il referendum. Così è stato e i suoi sostenitori non se la sono sentita, forse perché non avevano abbastanza voti, di lasciarsi andare a una prova muscolare dall’esito incerto. Sì, è finita male, nonostante le ultime riunioni volanti dappertutto e qualche faccia a faccia – raccontano pesante – fra chi è a capo dei vari gruppi. Dopo la lunga e inutile attesa, è stato l’ex segretario dimissionario Renato Soru il primo a sbottare, «Non possiamo rimanere qui prigionieri come dei bambini», e poi a prendere la parola. Ha parlato davanti a un’assemblea svuotata di ogni potere, com’era questa: sul registro delle presenze c’erano le 88 firme necessarie su 174 delegati per renderla valida. Sciacquiamoci comunque la bocca, allora Con la grinta, quel suo essere ruvido e per nulla diplomatico, l’eurodeputato ha detto: «Non possiamo essere ostaggio di quattro cariatidi più preoccupati della loro sopravvivenza e zero del partito». Rasoiata sul volto dei notabili di Antonello Cabras e Paolo Fadda, che a gennaio l’hanno scaricato dopo averlo eletto e quindi molto prima delle sue dimissioni dopo la condanna per evasione fiscale.

Senza interlocutori in platea, nel frattempo gli avversari erano già sulla Carlo Felice, Soru ha infilato un’accusa dietro l’altra: connivenze, commistioni, appropriazione delle poltrone, con maggioranze che «scoppiano solo per bulimia di potere». È stato un fiume in piena: «Continuiamo a parlare di noi, fra noi, mai degli altri e con gli altri. Se non la smettiamo, finiremo per moriretutti», le sue parole. Fino all’«ormai il re nudo e dobbiamo avere la forza di ribellarci all’egoismo e al solo benessere personal di pochi. Giovani, abbiate la forza di rovesciare le nostre scrivanie». L’applauso di una sala vuota per metà è stato forte e da quel momento, liberatosi dai tatticismi e dai regolamenti, il Pd s’è letto la vita. Gianluigi Piras (ex civatiani) ha replicato: «Renato, sei responsabile quanto e più degli altri perché ti sei voluto candidare segretario quando invece dovevi farti da parte». Giulio Calvisi (ex Ds ma dissidente) ha parlato di «pace biblica da ritrovare», per cozzare subito sulla denuncia amara del renziano Gavino Manca: «È un partito affogato nell’astio, mentre dovremmo cercare l’unità per almeno quattro mesi, poi al congresso chi ha il coraggio di scendere in campo, lo faccia». Tutto questo mentre sulla Rete prendeva corpo un controdibattito, con Yuri Marcialis, vicino ma non troppo all’ex minoranza, deciso nello scrivere: «Salviamo il Pd».

Sul palco è salita anche Francesca Barracciu, ex Ds, che è stata secca nel richiamare «l’orgoglio di un partito al Governo a Roma, a Cagliari e che non può più permettere al leaderino del partitino dei sardi (Paolo Manichedda per chi non l’avesse capito) di prendersi gli onori del Patto per la Sardegna». Per fortuna che ci sono le ferie, altrimenti in questi giorni sarebbe finita a coltellate dentro e fuori una maggioranza che, con fatica, il governatore Francesco Pigliaru vuole provare a tenere assieme.

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