La Nuova Sardegna

Anche se lavori un minuto sei pagato per 24 ore

di Mauro Lissia

Ripristinato il diritto al permesso giornaliero cassato nel 2012 dal governo Monti La norma inserita nella Finanziaria, il privilegio vale anche se la seduta salta

30 aprile 2017
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CAGLIARI. Due ore trascorse in consiglio regionale o comunale, pausa caffè, un’altra mezz’ora in aula o in commissione e la giornata del politico sardo può dirsi conclusa: basta la convocazione e un fugace passaggio a palazzo perché scatti il permesso giornaliero dal lavoro. Nessun obbligo di presentarsi in azienda o nell’ente pubblico di provenienza, come accade in tutte le altre regioni d’Italia, a concludere l’impegno nell’arco delle ventiquattr’ore. Niente recupero, ma vacanza piena fino all’indomani anche se la seduta è saltata per la mancanza del numero legale o per qualsiasi altra ragione. Dunque ci risiamo: cassato dal governo Monti con la famosa legge sulla spending review, il diritto di marinare l’impiego privato a fini politico-istituzionali è stato ripristinato alla chetichella in un articolo quasi indecifrabile, tutto rimandi a leggine e commi, infilato di soppiatto nella legge regionale di stabilità 2017 approvata lo scorso 13 aprile. Si ritorna al passato, per applicare nuovamente una legge del 22 febbraio 2012 che fa riferimento a «norme in materia di enti locali e sulla dispersione ed affidamento delle ceneri funerarie». Cos’abbia a che fare la stabilità regionale con le comodità dei nostri rappresentanti eletti andrebbe spiegato, per non parlare delle ceneri dei defunti. Comunque sia per onorevoli regionali, consiglieri comunali, membri dell’Anci e altri componenti di assemblee elettive è un invidiabile privilegio cui non s’erano rassegnati a rinunciare neppure davanti ad una legge dello Stato. Per le casse pubbliche va un po’ peggio: sono milioni di euro in rimborsi da versare alle aziende che perdono i loro dipendenti impegnati in politica e li perdono non più per le ore strettamente necessarie ad assolvere il proprio ruolo, ma per intere giornate.

Il giro di vite. Un passo indietro per capire. Fino al 2012, l’anno del rigore imposto dal governo Monti, i permessi giornalieri erano un diritto riconosciuto dalla legge a tutti i rappresentanti politici eletti d’Italia, non solo a chi svolge il mandato lontano dalla propria residenza. Con la spending review era arrivato il giro di vite, con rotazione nel verso del risparmio: vanno bene i permessi, bene anche i rimborsi, ma solo per le ore strettamente necessarie ad assolvere gli impegni istituzionali. Tra inevitabili mugugni, la revisione della norma era stata applicata in tutta Italia tranne che in Sardegna.

La Regione prende tempo. La Regione aveva scelto di rinviare fino alla prossima regolamentazione prevista nella legge di riforma degli enti locali. Una decisione di per sè sorprendente: perché tenere vivo un privilegio cancellato in ogni regione del paese? Ma andiamo avanti: a febbraio 2016 la legge di riforma è stata approvata, solo che di quei permessi non si parla. Insomma: tra legge dello Stato e legge regionale, i nostri rappresentanti eletti erano rimasti sospesi a metà. Ed è in quel momento che gli uffici regionali degli Enti locali sono intervenuti nell’unico modo che li avrebbe salvati dai fulmini della Corte dei Conti: una circolare, dove - tradotto dal burocratese - si annunciava che in mancanza di una regolamentazione regionale è d’obbligo applicare quella statale. Risultato: non più permessi giornalieri, ma soltanto a ore.

La norma. È trascorso un anno abbondante, si dice che i dirigenti regionali abbiano subìto una sorta di assedio da parte di consiglieri delle varie assemblee, indignati per la perdita di quello che consideravano un diritto. Così, fra i problemi irrisolti della Sardegna, il consiglio regionale è riuscito a mettere in primo piano la libertà dei consiglieri dal fastidio di lavorare. Chi ama il linguaggio lunare dei nostri legislatori può andare a leggersi l’articolo 2, comma 12 della legge di stabilità, la numero 5 del 13 aprile 2017. Dove, oltrepassata una jungla di articoli, si stabilisce che «è consentito ai componenti degli organi elettivi di usufruire del permesso retribuito per l’intera giornata in cui sono convocati i rispettivi organi». Chi paga? «Ai relativi oneri - è scritto - si fa fronte con le risorse trasferite agli enti locali, ai sensi del fondo previsto dalla legge regionale 2 del 2007». Come dire: pagano i contribuenti, si risparmi su altri servizi.

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