La Nuova Sardegna

Sughero, in agonia l’oro dell’isola: a picco la produzione e il prezzo

di Vincenzo Garofalo
Sughero, in agonia l’oro dell’isola: a picco la produzione e il prezzo

In quindici anni hanno chiuso più di 100 imprese e il numero dei dipendenti è dimezzato L’ultimo caso a Tempio con 79 licenziamenti nell’azienda Ganau. L’allarme lanciato a Sassari

30 maggio 2017
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SASSARI. L’oro morbido di Sardegna non luccica più. Offuscato dall’invadenza dei materiali artificiali, dall’aggressività delle multinazionali portoghesi e spagnole e da un mercato globale che richiede sempre maggiori investimenti e innovazioni tecnologiche, il sughero sardo e l’intera filiera isolana sono piombati da tre lustri in una crisi che appare senza via d’uscita. Un declino lento e inesorabile che prima ha decimato silenziosamente decine di piccole imprese artigiane, e ora bussa con prepotenza alle porte dei grandi stabilimenti galluresi. Come al sugherificio Ganau, vera colonna dell’industria italiana di trasformazione del sughero, che nelle scorse settimane ha annunciato il licenziamento di settantanove fra i suoi oltre duecento dipendenti.
La terra del sughero. Una spia rossa accesa per l’intero sistema sughericolo sardo, ovvero italiano. Sì perché in Italia sughero fa rima con Sardegna, visto che l’isola, con i suoi 140 mila ettari di sugherete (in tutto il Belpaese sono 168mila ettari), produce l’85 per cento del sughero italiano. Sarà anche per questo che nei giorni scorsi le più brillanti menti scientifiche internazionali che dedicano i loro studi al sughero, hanno scelto Sassari per il “Terzo Congresso nazionale del sughero”: due giorni di full immersion in relazioni, dibattiti, sulla produzione, il commercio e il futuro del prezioso prodotto estratto dalle querce. Tutto organizzato dal Dipartimento di Scienze della natura e del territorio dell’Università di Sassari, dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), e dall’Istituto per lo studio degli ecosistemi (Ise), con il coinvolgimento di assessori regionali, direttori, presidenti e rappresentanti dei vari enti e associazioni che, a vario titolo e in modi diversi, hanno a che fare con la catena di produzione, trasformazione e commercializzazione del sughero e dei suoi derivati.
Sempre più giù. Fra le numerose ricerche scientifiche e studi di settore illustrati dagli esperti nel corso del congresso, non poteva mancare uno sguardo sulla crisi economica e sul difficile momento del comparto nazionale e sardo. A partire dal crollo verticale del prezzo del sughero, dal drastico calo delle produzioni e dai problemi occupazionali. Tutti elementi concatenati fra loro, e scoppiati in maniera esponenziale negli ultimi quindici anni. Una maledizione del nuovo millennio, che ha visto scomparire progressivamente gran parte delle piccole imprese artigiane, non attrezzate ad assorbire l’impatto con i cambiamenti di un mercato sempre più globale, veloce e aggressivo. All’inizio degli anni 2000 la Sardegna, dal suo inarrivabile trono di regina della produzione e trasformazione sughericola nazionale, poteva contare su circa 150 imprese, per la maggior parte di piccole dimensioni, con solo tre aziende sopra i 50 dipendenti. Oggi il numero delle imprese attive si è ridotto ad appena un terzo, e il numero di addetti diretti si è più che dimezzato passando da circa 3mila agli attuali 1400, secondo le stime più ottimistiche. A dettare questi cambiamenti, sono stati il calo della produzione e il crollo del prezzo del sughero.
La produzione. Quella nazionale (l’Italia è il quarto produttore al mondo dopo Portogallo, Spagna e nord Africa) dopo avere toccato quota 15 mila tonnellate l’anno nel periodo d’oro, oggi si attesta sulle 6 mila tonnellate annue. E la Sardegna, è passata da produrre 12 mila tonnellate di sughero a poco più di 5 mila tonnellate l’anno. Con le produzioni è diminuito senza mai dare segnali di ripresa anche il prezzo, passato dai 1500 euro la tonnellata agli attuali 400 euro. Decisivo è stato il cambiamento del mercato: le produzioni sarde vengono acquistate per circa la metà da Spagna e Portogallo, che fanno il pieno di sughero grezzo, a prezzo basso, e lo trasformano nei loro stabilimenti. Questo ha determinato un effetto boomerang sull’industria isolana, che ha ridotto l’attività di trasformazione e allo stesso tempo ha visto lievitare i costi di produzione. Per provare a reagire alla crisi, la politica e il mondo scientifico si sono alleati nel nome della ricerca e della qualità. Nel 2013 un gruppo di ricerca coordinato dall’agenzia regionale Forestas, ha avviato e concluso un progetto per l’identificazione dei boschi da seme, strumento decisivo per aumentare la stabilità, l'adattamento, la resistenza, e la produttività delle foreste sarde, e ottenere così prodotti di qualità certificata e superiore.
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