La Nuova Sardegna

Pecorino romano: è guerra a rischio il marchio Dop

di Claudio Zoccheddu
Pecorino romano: è guerra a rischio il marchio Dop

I produttori laziali chiedono la cancellazione della denominazione protetta Il consorzio risponde: «Iniziativa temeraria e senza alcuna possibilità»

01 agosto 2017
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SASSARI. I pastori sono pronti a scendere in piazza per la grande manifestazione di domani. I produttori, perlomeno quelli laziali, sono invece pronti ad abbandonare la nave del pecorino romano e hanno chiamato l’ultima adunata prima del ritiro ufficiale dal consorzio di tutela ma soprattutto prima di chiedere all’Unione europea la cancellazione del marchio di denominazione di origine protetta (Dop). Una richiesta che non ha precedenti nella storia del mercato unico continentale.

Pecorino romano. Dal Lazio arrivano notizie poco confortanti perché la guerra sarebbe ormai arrivata alle battute finali. I produttori laziali e quelli sardi sono riuniti nel consorzio che tutela il pecorino romano ma le quote di produzione sono sbilanciate verso l’isola: dei 250mila quintali di pecorino romano prodotto tra Sardegna e Lazio solo il 3 per cento arriva dalle campagne di Roma e Viterbo. Da qui la richiesta della revoca di un indicatore geografico che non corrisponderebbe più alla realtà e che favorirebbe «una comunicazione ingannevole nei confronti del consumatore». Il pensiero è stato trascritto nel documento inviato al ministro dell’Agricoltura con la preghiera «di escludere il territorio della Regione Lazio dalla zona di produzione del Pecorino romano dop, e quindi alla cancellazione della dop stessa». La genesi del possibile scisma è ovviamente legata all’impossibilità degli allevatori laziali di immettere sul mercato altri prodotti con la denominazione “romano”. Un veto che li costringe a vendere le quote agli industriali umbri e toscani o a produrre formaggi non certificati.

Qui Sardegna. Il presidente del Consorzio del Pecorino romano, Salvatore Palitta, non è preoccupato: «È un’iniziativa temeraria che non ha alcuna consistenza giuridica. Non hanno possibilità perché non è permesso utilizzare una denominazione già assegnata». I romani non spaventano, dunque. Ma la politica non può stare a guardare. Ne è convinto Paolo Maninchedda, ex assessore regionale dei Lavori pubblici che lamenta l’assenza ingiustificata dei suoi ex colleghi: «Il più importante conflitto commerciale dal dopoguerra viene vissuto in silenzio in Sardegna e invece sostenuto a gran forza nel Lazio, con prese di posizione del presidente della Regione, dell’assessore regionale all’agricoltura e con una grande mobilitazione della Coldiretti laziale e sarda». Ed è lo stesso Maninchedda che indica i motivi della richiesta: «Ovviamente lo scopo non è rinunciare a produrre formaggio a marchio, ma poter occupare la fetta di mercato del prodotto a marchio con prodotti meno controllati».

I pastori. Mentre dall’altra parte del tirreno si gioca la battaglia del marchio dop, i pastori sardi sono pronti a scendere in piazza domani, a Cagliari. Il corteo procederà verso il Consiglio regionale per chiedere alla Regione «un intervento urgente per la difesa del patrimonio zootecnico». Il Movimento pastori sardi (Mps) punta a portare a Cagliari migliaia di pastori chiamati a raccolta dopo il blocco della statale 131 del primo luglio. «Le campagne stanno vivendo una crisi drammatica che rischia di travolgere l'economia e la vita sociale delle aree interne della Sardegna, già oggi investite dalla crisi economica e demografica - dice il portavoce del Mps, Felice Floris -. La crisi dell’allevamento ovino è determinata da due fattori principali: la crisi del prezzo del latte e del valore delle carni. Le calamità naturali stanno facendo il resto. La siccità ha messo in ginocchio tutte le aziende e gli incendi che devastano le campagne mettono in pericolo uomini e animali». Le richieste rivolte alla Regione riguardano lo stanziamento di risorse «un quintale di mangime a capo, il risarcimento dei danni causati dalla calamità naturale, il blocco immediato delle cambiali agricole, l’interruzione dei procedimenti di Equitalia e l'azzeramento dei pagamenti Inps». Ma si chiede anche di «procedere alla liquidazione delle pratiche relative al Piano di sviluppo rurale (Psr) e anticipare il pagamento delle nuove pratiche relative al Psr e alla Politica agricola comunitaria».

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