La Nuova Sardegna

Scandalo “Paradise papers” c’è anche la Vitrociset

di Claudio Zoccheddu
Scandalo “Paradise papers” c’è anche la Vitrociset

Nei documenti l’azienda che ha uno stabilimento a Capo San Lorenzo

13 novembre 2017
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SASSARI. C’è anche un pezzo di Sardegna tra i 13 milioni di file che tutto il mondo ha imparato a conoscere come “Paradise papers”, la carte del paradiso. Il riferimento alla sfera celeste dei beati, però, non fa parte della storia. A meno che per beati non si intendano i paperoni della finanza internazionale che hanno nascosto parte dei loro capitali nei paradisi fiscali caraibici per sfuggire all’erario. Nell’elenco dei documenti segreti sottratti al service fiscale “Appleby” ci sono due aziende che hanno fatto la storia dell’industria in Sardegna: la Sir della famiglia Rovelli e il gruppo Vitrociset controllato dalla dinastia dei Crociani. Due gruppi che difendono le loro fortune, e i loro stabilimenti, sfruttando zone d’ombra nascoste sotto il sole dei Caraibi. Fino a ieri.

Vitrociset. Elettronica, telecomunicazioni con un occhio alla tecniche aerospaziali che guarda il cielo da Capo San Lorenzo, sperone sul mare del poligono interforze del Salto di Quirra in territorio di Villaputzu. La Vitrociset è in Sardegna dai tempi dello scandalo Lockheed – quando il patriarca Camillo Crociani finì nel giro di tangenti sbocciato durante il passaggio di alcuni elicotteri dagli Usa all’Italia – ma il suo portafogli è lontano poco meno di novemila chilometri. Secondo i Paradise papers, l’azienda che figura tra i 19 soci privati del Dass, il Distretto aerospaziale della Sardegna, sarebbe la base di un edificio fiscale con piani in mezza Europa e con un attico, dotato di una robusta cassaforte, affacciato sul mare dei Caraibi. Vitrociset Spa ha la sede legale in Italia ma è controllata da due holding con sede in Olanda a loro volta controllate dalla lussembrughese Allimac managment che fa capo alla International Future Ventures, una società con un capitale di un dollaro che oprea dall’isola di Curaçao. Un’architettura complicatissima in grado di mandare ai pazzi il fisco italiano dato che l’anonimato dell’intera impalcatura, ai Caraibi, è una garanzia. Perlomeno fino alla pubblicazione dei Paradise papers.

Sir. Per bonificare il segno del passaggio in Sardegna di Nino Rovelli, patron della Sir morto nel 1990, servirebbero tre miliardi di euro. Un conto, quello fatto dalla Regione, in cui non compaiono i tumori che germogliano come fiori malati nel corpo di chi è stato costretto, o lo è ancora, a respirare le ceneri del sogno industriale dell’imprenditore che ha realizzato il polo petrolchimico di Porto Torres e quello di Macchiareddu. Secondo le carte che raccontano i segreti custoditi dai paradisi fiscali, l’erede di Nino Rovelli, il figlio Felice che adesso vive negli States, avrebbe a disposizione un patrimonio di oltre 164 milioni di euro, spicciolo più spicciolo meno, che amministra da una villa di 700 metri quadrati con vista sull’Atlantico. Oltre all’inquinamento ambientale – nei terreni di Porto Torres il benzene supera di 150 volte le soglie di tolleranza – e ai suoi terribili derivati, l’epopea industriale del gruppo Sir è passata da uno dei crac più fragorosi della finanza italiana. Dopo l’apertura delle sue industrie in Sardegna, Sir era diventato il terzo gruppo chimico italiano. Un podio che non evitò, pochi anni dopo, il naufragio del sodalizio che arrivò all’inizio degli anni 80 con un passivo di tremila e cinquecento miliardi di lire risanato dal governo guidato da Giulio Andreotti.

Un intervento a cui ancora manca un epilogo che dovrebbe essere scontato: il risanamento dell’ambiente.

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