La Nuova Sardegna

Valerio Onida: «L’insularità decisiva ma non va in Costituzione»

Alessandro Pirina
Valerio Onida: «L’insularità decisiva ma non va in Costituzione»

L’ex presidente della Consulta: «Si applichi in modo più efficace lo Statuto, smentire la scelta fatta allora significa rinnegare lo spirito che lo determinò»

26 febbraio 2018
5 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Valerio Onida, già presidente della Corte costituzionale, tra i maggiori esperti di diritto costituzionale in Italia, parla dei 70 anni dello Statuto sardo.

Professor Onida, l’autonomia speciale della Sardegna compie 70 anni: è ancora attuale parlare oggi di specialità?

«L’Italia in cui nacquero le Regioni a statuto speciale, fra il 1946 (Sicilia) e il 1963 (Friuli-Venezia Giulia) era certo diversa dall’attuale. Tuttavia, le ragioni che furono alla base di quella scelta possono considerarsi ancora attuali, pur in contesti molto cambiati. Sono ragioni non tanto economiche, quanto culturali e logistiche. Per le Regioni alpine era ed è determinante il tema delle minoranze linguistiche e delle tradizioni culturali locali. Per Sicilia e Sardegna era ed è decisiva invece l’insularità, che comporta fra l’altro specifiche politiche delle comunicazioni. In Sardegna essa si accompagna anche a ragioni culturali non dissimili da quelle delle comunità alpine. In ogni caso sono decisive le ragioni storiche: la scelta fatta all’epoca costituente si è consolidata, e smentirla oggi significherebbe contraddire lo spirito autonomistico che a suo tempo la determinò».

La riforma del Titolo V del 2001 ha accresciuto i poteri delle regioni a statuto ordinario: oggi hanno ancora ragione di esistere le autonomie speciali?

«È vero che con la riforma costituzionale del 2001 le Regioni ordinarie hanno conquistato più autonomia, per alcuni versi superiore anche a quella originariamente prevista dagli statuti speciali: tanto che la riforma stabilì, giustamente, che fin da subito le Regioni speciali godessero anche dei nuovi spazi di autonomia attribuiti alle Regioni ordinarie. Se poi venisse attuata la previsione costituzionale, introdotta nel 2001, dell’attribuzione di nuove forme e condizioni di autonomia a singole Regioni ordinarie, a loro richiesta, si attenuerebbe molto, pur non scomparendo, la differenza fra Regioni ordinarie e Regioni speciali. Oggi tale differenza permane anche per effetto della mancata attuazione di quest’ultima previsione, e d’altro canto per effetto dei differenti regimi finanziari. Quello delle Regioni speciali, a differenza di quello delle Regioni ordinarie, è basato largamente sulla attribuzione di quote predeterminate del gettito locale di grandi imposte statali. Questa differenza non si giustifica razionalmente: per tutte le Regioni dovrebbe valere il regime generale previsto dall’art. 119 della Costituzione».

Grazie allo Statuto speciale la Sardegna gode di una maggiore autonomia finanziaria, ma resta tra le regioni più svantaggiate: a suo avviso cosa non ha funzionato?

«Il funzionamento odierno dei regimi finanziari delle singole Regioni speciali può dipendere sia da differenze statutarie, sia più probabilmente dal modo in cui sono applicati gli statuti. Non so dire, non conoscendo a fondo la situazione economica della Sardegna, quali siano gli specifici fattori di svantaggio dell’isola. Posso immaginare che pesino la crisi dei grandi insediamenti produttivi minerari o petroliferi un tempo gestiti dalle partecipazioni statali e il mancato pieno sviluppo di un’economia turistica adeguata alle straordinarie caratteristiche e risorse dell’isola».

Concedere una maggiore autonomia alle regioni può essere uno strumento per evitare che in Italia, nel nostro caso in Sardegna, si ripeta un caso Catalogna?

«L’“indipendentismo”, che è cosa ben diversa dall’autonomismo, non ha mai avuto in Sardegna un vero radicamento, e non è certo una prospettiva ragionevolmente affacciabile. È l’autonomia, da sviluppare e da esercitare, la vera prospettiva dell’isola».

In Sardegna è stato promosso - e per ora bocciato - un referendum per introdurre il principio di insularità nella Costituzione. Qual è la sua opinione?

«L’insularità è una situazione di fatto, che richiede misure e politiche - europee, nazionali e regionali - intese a compensarne gli svantaggi (ad esempio in termini di collegamenti), Non mi pare abbia senso menzionarla nella Costituzione, che già contiene i principi di universalità dei diritti fondamentali, di eguaglianza sostanziale, di tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, di solidarietà anche interterritoriale, che debbono guidare le politiche di sviluppo, fiscali e di spesa».

Il federalismo è stato un cavallo di battaglia dei partiti negli anni Novanta e i primi del Duemila, ma ora sembra scomparso dall’agenda politica.

«Purtroppo negli anni recenti – complice anche la crisi economica – è andata prevalendo in Italia, in contraddizione con la riforma costituzionale del 2001, una politica centralistica, non conforme al principio di autonomia di cui all’art. 5 della Costituzione. In parte questa politica è anche frutto dell’atteggiamento “anti-politico” che si manifesta nella polemica contro la “casta” e tende a svalorizzare l’impegno nelle istituzioni pubbliche e nei corpi rappresentativi, dipinto come occupazione di “poltrone”. Di questo atteggiamento è in parte frutto la proposta di abolire le Province (il che non significa che non vadano corrette tendenze alla moltiplicazione inutile degli enti territoriali)».

I referendum di Lombardia e Veneto, per quanto previsto dalla Costituzione, non rischia di rompere il vincolo di solidarietà che sta alla base del patto nazionale?

«I recenti referendum consultivi in Lombardia e Veneto sono stati spesso artificiosamente presentati come tendenti a rimettere in discussione il “residuo fiscale” di tali Regioni, cioè la differenza positiva fra il gettito tributario riscosso nel loro territorio e il complesso della spesa pubblica erogata nello stesso territorio (e quindi il loro “contributo di solidarietà” a favore delle Regioni meno ricche). In realtà così non era: essi tendevano ad avallare una iniziativa delle rispettive Regioni per ottenere l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni di autonomia in determinate materie, ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione. Il conseguente spostamento di risorse dallo Stato alla Regione per svolgere le nuove funzioni attribuite non deve intaccare la quota del gettito regionale destinata alla solidarietà interterritoriale».


 

La Sanità malata

Il buco nero dei medici di famiglia: in Sardegna ci sono 544 sedi vacanti

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative