La Nuova Sardegna

«Subito la legge urbanistica, portiamola in consiglio»

di Luca Rojch
«Subito la legge urbanistica, portiamola in consiglio»

Intervista con Paolo Maninchedda. I paletti del segretario del Pds: il vero ostacolo è l’oppressione burocratica. Stop a interventi nei 300 metri, tutte le opere fatte in accordo con i Comuni

18 marzo 2018
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SASSARI. Le alambiccate teorie le lascia ai matematici del mattone. Paolo Maninchedda, segretario del Partito dei Sardi non ha dubbi. Una legge va fatta. Va discussa in Consiglio regionale e va trovato l’accordo più ampio possibile, in modo che le leggi fondamentali non cambino al cambiare delle maggioranze. Per l’ex assessore ai Lavori pubblici il vero nemico urbanistico dei sardi è «l’oppressione burocratica dell’edilizia privata», l’impossibilità di intervenire sulla propria casa per banali modifiche senza venire sepolti da richieste e autorizzazioni. Per Maninchedda una buona urbanistica deve prendere in considerazione questi aspetti.

Segretario a lei la legge urbanistica proposta dalla giunta piace?
«Mi pare che la legge urbanistica non sia mai stata proposta come un dogma, ma più come un’ipotesi. Da quando è stata presentata sono arrivati tanti spunti correttivi interessanti. Non ho mai sentito una chiusura da parte della giunta. La legge è ora in Consiglio regionale. I consiglieri e la giunta traducano in un testo verificabile la disponibilità al dialogo dichiarata. Talvolta basta un po’ di cortesia e di pragmatismo per recuperare efficienza».

Lei cosa pensa delle polemiche intorno alla legge?
«Non mi interessano troppo. Ho un approccio differente. Più che parlare di legge urbanistica, è importante discutere di urbanistica in Sardegna, della politica che connette i territori, la cultura, i modi di vivere e di costruire delle comunità, le scelte strategiche, le scelte economiche, la sostenibilità. Tutto questo è urbanistica e di certo una sola legge non può racchiuderlo».

Sì, ma in ballo ci sono questioni fondamentali sullo sviluppo.
«Per me il problema principale non sono gli hotel. Per il Partito dei sardi il concetto è chiaro. Dentro la fascia dei 300 metri dal mare non si può e non si deve fare nulla, a parte gli adeguamenti che un centinaio di piccoli hotel devono poter realizzare per non essere penalizzati rispetto a chi è già intervenuto con le ristrutturazioni e per non essere tagliati fuori dal mercato turistico. Ma il vero problema è l’oppressione burocratica dell’edilizia privata».

Cosa intende? Si spieghi meglio.
«C’è un effetto indiretto del Ppr. Se un sardo vuole levare una finestra dalla facciata di casa sua, se vuole mettere una tettoia nel giardino di casa, deve compilare due metri cubi di carte. Un dedalo di uffici, permessi, dichiarazioni. Sempre che lo possa fare. Questa è l’oppressione burocratica dell’edilizia privata. In Sardegna il normale uso degli spazi abitativi è sospettato di non essere normale. Il sistema delle norme è pensato per la legittimità del sospetto, per esentare dalle responsabilità i dirigenti pubblici e per caricare di adempimenti i cittadini. Per le cose più banali si deve compilare una quantità abnorme di carte. Le leggi dovrebbero rendere semplice e vivibile la vita quotidiana. Non viviamo tutti in albergo, ma tutti possiamo avere bisogno di rifare un bagno o di intervenire su una tettoia o su un terrazzo. Mi auguro che in Consiglio regionale si trovi un modo per semplificare la vita ai sardi e per ridare speranza agli imprenditori. Oggi c’è un blocco generalizzato e insopportabile delle cose più comuni».

Certo, ma ci sono anche discussioni sui grandi progetti.
«Per noi i grandi progetti devono stare alle regole previste dal Codice Urbani, devono essere pensati come master plan e non solo come mega-edifici e devono avere l’approvazione delle Unioni dei Comuni. Un grande albergo è interessante se non invade i 300 metri, se è bello, se è sostenibile, se si mette in gioco con tutto il territorio che lo ospita. Se è coerente con le dinamiche che immagina di generare e intorno alle quali deve avere il consenso delle comunità coinvolte, prima che della Regione. La Regione è troppo centralistica in materia urbanistica».

Perché la Regione è centralistica?
«Perché non ha fiducia negli enti locali. Si sospetta di tutto e di tutti e non si accetta che qualcuno ponga il problema di quale ingiusto diritto consenta all’istituzione sospettosa di rovinare per le sue ossessioni la vita altrui. Gli imbroglioni frequentano tutte le altitudini, i Comuni come la Regione, ma se imposta una centrale barocca del sospetto per allontanare i furbi, si ottiene l'effetto contrario di demotivare gli onesti. Poi si deve parlare del rapporto tra le comunità dell’interno e le città. L'urbanistica delle città ha trasformato i paesi in periferie e ha prodotto un disastro antropologico in Sardegna. Va corretta subito. La Sardegna ha bisogno di connessioni orizzontali, non di subordinazioni. Così come non si può cancellare il fatto che da sempre i sardi vivono nelle campagne. Oggi esistono le tecnologie per poter costruire in campagna senza inquinare. Si devono usare le tecniche costruttive giuste, i materiali adatti. Ma si deve rendere possibile vivere in campagna. L'ideologia dell'ostilità alla residenza in campagna è contro la storia in Sardegna».

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