Redazione perquisita, gli avvocati della Nuova: atto illegittimo e invasivo
di Marco Bittau
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Sebastiano Chironi, l'avvocato della Nuova SardegnaIl ricorso depositato in Tribunale contro il sequestro di pc, tablet e telefoni
31 marzo 2018
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OLBIA. «Il sequestro è illegittimo, inammissibile, sproporzionato rispetto al generico tema dell’indagine. Per questo tutto il materiale deve essere restituito alla giornalista e alla redazione». Lo sostengono gli avvocati Sebastiano Chironi e Antonello Desini, difensori della Nuova Sardegna e della cronista Tiziana Simula, indagata dalla Procura di Tempio con l’accusa di aver rivelato e utilizzato segreti d’ufficio. Come annunciato, i difensori hanno depositato un ricorso al tribunale di Sassari con istanza di riesame del provvedimento disposto dal procuratore facente funzioni di Tempio Andrea Garau che martedì scorso, con una decisione clamorosamente grave, ha ordinato un blitz della polizia giudiziaria nella redazione di Olbia. Quattro carabinieri in borghese per perquisire la cronista Tiziana Simula che da mesi si occupa delle inchieste scomode sul tribunale dei veleni. E per sequestrare computer, telefono personale, tablet, dispositivi Usb e documenti d’archivio. Decreto alla mano, la cronista è indagata per aver pubblicato in esclusiva sulla Nuova Sardegna di sabato scorso la bozza di un esposto presentato in Procura dall’ex presidente del tribunale di Tempio Francesco Mazzaroppi contro l’ex procuratore Domenico Fiordalisi e il pm romano Stefano Rocco Fava, accusati dallo stesso Mazzaroppi (a sua volta indagato nell’inchiesta sulle aste pilotate) di aver praticamente insabbiato un fascicolo d’indagine sul fallimento della società Cavallino bianco srl. In pratica, Tiziana Simula è indagata per aver fatto semplicemente il suo lavoro di cronista.
Il ricorso presentato al tribunale del riesame di Sassari dagli avvocati Chironi e Desini è preciso e circostanziato. «La contestazione della violazione del segreto istruttorio ex articolo 326 – scrivono gli avvocati difensori – è priva di alcun fondamento. Da un lato, è pacifico che la norma si riferisce alla categoria dei pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. Dall’altro, si deve evidenziare che nel caso in questione non c’è alcun atto coperto da segreto, considerando che l’esposto presentato dalla presunta persona offesa non rientra tra gli atti di cui all’elenco dell’articolo 329».
C’è poi da valutare la proporzione tra il contenuto di un provvedimento così invasivo (perquisizione e sequestro) e le esigenze di accertamento dei fatti, oggetto dell’indagine. «Solo in tal modo, infatti – sostengono i difensori – si può assicurare che l’attività investigativa sia condotta in modo da non compromettere il diritto del giornalista alla riservatezza della propria corrispondenza e delle proprie fonti. Insomma, giurisprudenza alla mano (nel ricorso è citata la recentissima pronuncia della Cassazione sul caso Consip, ndr), il criterio di proporzionalità è stato collegato all’esigenza di evitare «potenziali limitazioni che alla libertà di stampa potrebbero derivare da iniziative immotivatamente invasive».
E che le modalità del sequestro siano state particolarmente invasive non ci sono dubbi: perquisizione personale della cronista, perquisizione domiciliare e della sua postazione di lavoro in redazione, addirittura perquisizione dell’automobile. «Come si evince dal verbale di sequestro – spiegano ancora i difensori – la perquisizione ha dato esito positivo, considerato che è stato trovato il presunto “corpo del reato”, ovvero l’esposto oggetto dell’articolo contestato. Ebbene, quell’esposto è costituito da 28 fogli dattiloscritti, senza alcuna firma in calce e senza alcun timbro di deposito. Per questo non può certamente essere stato consegnato da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio. Si tratta quindi della stampa di una semplice bozza derivante da un file di videoscrittura che, in quanto tale, fa comprendere chiaramente chi possa essere la fonte della giornalista indagata».
@marcobittau. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il ricorso presentato al tribunale del riesame di Sassari dagli avvocati Chironi e Desini è preciso e circostanziato. «La contestazione della violazione del segreto istruttorio ex articolo 326 – scrivono gli avvocati difensori – è priva di alcun fondamento. Da un lato, è pacifico che la norma si riferisce alla categoria dei pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. Dall’altro, si deve evidenziare che nel caso in questione non c’è alcun atto coperto da segreto, considerando che l’esposto presentato dalla presunta persona offesa non rientra tra gli atti di cui all’elenco dell’articolo 329».
C’è poi da valutare la proporzione tra il contenuto di un provvedimento così invasivo (perquisizione e sequestro) e le esigenze di accertamento dei fatti, oggetto dell’indagine. «Solo in tal modo, infatti – sostengono i difensori – si può assicurare che l’attività investigativa sia condotta in modo da non compromettere il diritto del giornalista alla riservatezza della propria corrispondenza e delle proprie fonti. Insomma, giurisprudenza alla mano (nel ricorso è citata la recentissima pronuncia della Cassazione sul caso Consip, ndr), il criterio di proporzionalità è stato collegato all’esigenza di evitare «potenziali limitazioni che alla libertà di stampa potrebbero derivare da iniziative immotivatamente invasive».
E che le modalità del sequestro siano state particolarmente invasive non ci sono dubbi: perquisizione personale della cronista, perquisizione domiciliare e della sua postazione di lavoro in redazione, addirittura perquisizione dell’automobile. «Come si evince dal verbale di sequestro – spiegano ancora i difensori – la perquisizione ha dato esito positivo, considerato che è stato trovato il presunto “corpo del reato”, ovvero l’esposto oggetto dell’articolo contestato. Ebbene, quell’esposto è costituito da 28 fogli dattiloscritti, senza alcuna firma in calce e senza alcun timbro di deposito. Per questo non può certamente essere stato consegnato da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio. Si tratta quindi della stampa di una semplice bozza derivante da un file di videoscrittura che, in quanto tale, fa comprendere chiaramente chi possa essere la fonte della giornalista indagata».
@marcobittau. ©RIPRODUZIONE RISERVATA