La Nuova Sardegna

Sanna: la Carta è superata riscriviamola tutti insieme

di Alessandro Pirina
Sanna: la Carta è superata riscriviamola tutti insieme

L’ex segretario del Psd’Az: «Non parla né dell’Europa né della nostra lingua I sardi hanno detto sì a un’Assemblea costituente, ma non se n’è fatto nulla»

16 aprile 2018
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SASSARI. Lo statuto sardo deve essere riscritto. Parola di Giacomo Sanna, già presidente della Provincia di Sassari e assessore regionale, ma soprattutto ex segretario e presidente del Partito sardo d’Azione, di cui è tutt’ora uno dei leader più ascoltati.

A 70 anni dalla approvazione, lo Statuto è ancora attuale?

«Lo Statuto sardo è in larga parte inapplicato e per altri versi superato: non parla di Europa né delle sfide globali. Non indica le ragioni della nostra specialità né parla della lingua sarda. È evidente che deve essere riscritto con la partecipazione di tutti i sardi e, aggiungono i sardisti, nel verso dell’autodeterminazione e del federalismo. I sardi con il referendum del 2012 hanno scelto anche lo strumento con il quale procedere nella riscrittura dello Statuto, dicendo sì all’assemblea costituente ma, come è noto, il pronunciamento popolare, su questo argomento, è rimasto senza seguito. Così un’altra legislatura si è consumata in Regione senza che si sia affrontato il tema della riforma del patto tra la Sardegna, l’Italia e l’Europa. A onor del vero, in passato il Consiglio quando anche ha provato a rammodernare la nostra Carta si è scontrato col muro del centralismo italiano che mai in 70 anni ha discusso in Parlamento una proposta di legge di modifica costituzionale avanzata dall’assemblea sarda. Anzi, una l’ha discussa e approvata a tempo di record, la riduzione del numero dei consiglieri regionali da 80 a 60, confermando che a Roma, l’autonomia più che come una opportunità è considerata al rango di spreco o ruberia».

Ha ancora senso parlare di autonomia speciale?

«L'azione dello Stato da tempo è ispirata a criteri di massima centralizzazione e riduzione delle autonomie, nonostante la riforma costituzionale del 2001 ampliava gli spazi dell'autonomia delle Regioni. Fortunatamente il referendum del dicembre 2016 ha bocciato la riforma Boschi che andava in direzione nettamente opposta ma è evidente che cancellare persino quel che resta dell’autonomia speciale è l’obiettivo dichiarato, ancora oggi, di quei poteri che dal 1948 buttano sabbia negli ingranaggi della nostra specialità. Affermo che serve superare la visione economicistica della nostra specialità e cioè quella che dice che ai sardi servono poteri speciali perché siamo più poveri e dobbiamo colmare il divario con il resto dell’Italia. La nostra specialità, infatti, ci deve essere riconosciuta per l’essere sardi e perché abbiamo la nostra lingua e la nostra cultura».

In questi anni non tutto ha funzionato come avrebbe dovuto: colpa della Regione o dello Stato?

«Su questioni vitali per la Sardegna, come lo sono entrate tributarie, trasporti, energia e credito, l’apparato statale, in questi 70 anni, ha agito nei confronti dell’isola in maniera truffaldina, con menzogne e furberie degne dei peggiori bancarottieri. Basti ricordare gli impegni disattesi, gli accordi di programma traditi, le promesse mancate e i finanziamenti negati. La Regione si è difesa come ha potuto e ha dovuto fare i conti anche con qualche cavallo di troia che a più riprese e in più occasioni ha aperto il varco alla favola patriottarda secondo cui lo Stato ha dato e dà ai sardi molto più di quanto la Sardegna non dia allo Stato».

I politici sardi sono stati spesso accusati di essere troppo filo italiani. Qual è il suo giudizio?

«Molti politici sardi hanno avuto carriere e benefici personali appesi al filo doppio dei partiti italiani. Dunque, si sono comportati di conseguenza, preservando la tenuta di quel filo a cui erano appesi prestigio e poltrone, con buona pace dei legacci e dei nodi irrisolti che relegavano i sardi nel sottosviluppo».

Quali sono stati i politici sardi che più di tutti hanno difeso l’autonomia?

«L’autonomia la difendono ogni giorno tutti gli amministratori, tutti i politici e tutti i sardi che la esercitano e la rendono efficace. In assoluto però dico che il campione dell’autonomia è stato Mario Melis, ancora oggi il migliore tra i presidenti che la nostra Regione abbia avuto, per autorevolezza, coraggio e determinazione nel confronto con lo Stato. Hanno difeso l’autonomia anche Efisio Serrenti con la legge sulla lingua, Salvatore Bonesu con la legge sulla bandiera dei Quattro Mori e Franco Meloni con l’emendamento che ha cancellato il carcere all’Asinara. In tempi recenti hanno difeso l’autonomia e la Sardegna anche Renato Soru e Arturo Parisi con l’intesa sulle servitù militari e Ugo Cappellacci e Christian Solinas quando si sono contrapposti ai monopolisti del mare».

L’isola avrebbe bisogno di un nuovo piano di rinascita?

«Le aree inquinate, la cassa integrazione, la desertificazione produttiva di Ottana e Porto Torres sono l’eredità pesante della stagione della cosiddetta rinascita. Una stagione che con l’industrializzazione forzata ci ha dato operai per una sola generazione e ci ha lasciato veleni e disperazione insieme con una condizione sociale e economica davvero drammatica. Basti pensare allo spopolamento dei nostri paesi, all’inurbamento incontrollato delle aree dove sorgevano le ciminiere, ai danni ambientali per certi versi irreparabili e al paesaggio irrimediabilmente deturpato in alcune zone di pregio. Oggi come ieri affermiamo dunque che lo sviluppo per poli e l’industrializzazione forzata dei piani di rinascita non è quello che serviva alla Sardegna per agganciare il treno della crescita e dello sviluppo. Alla Sardegna di oggi servono poteri speciali e strumenti straordinari, a incominciare dall’autonomia impositiva fiscale e dalla zona franca, per rompere le catene dell’assistenzialismo e costruire un futuro di pace che si basi su agricoltura, agroindustria, innovazione, turismo e cultura».

L’insularità in Costituzione: lei è d’accordo?

«Il riconoscimento dell’insularità, anche in seguito all’indirizzo approvato in proposito dal Parlamento europeo, può essere ottenuto attraverso specifiche misure legislative statali e altri interventi amministrativi e finanziari utili a compensare gli svantaggi che ci derivano dall’essere un’isola. Prima ancora che materia di costituzionalisti è una questione squisitamente politica. Credo però che la battaglia che il comitato per l’insularità conduce, sia utile per rilanciare il tema delle disparità di trattamento e delle penalizzazioni cui andiamo incontro come sardi. Mi lascia però perplesso condurre una battaglia sul territorio italiano, ponendo cioè le legittime richieste dell’isola di Capri o di Pantelleria, sullo stesso piano di quelle delle uniche grandi isole del Mediterraneo come sono la Sardegna e la Corsica».

Nell’attuale scenario politico si riaffaccia il tema dell’indipendenza. È praticabile?

«Nella scorsa legislatura la mozione con la richiesta del referendum per l’indipendenza della Sardegna non è stata approvata in Consiglio per un solo voto di scarto. Detto questo ricordo ai custodi della sacralità costituzionale e agli italianisti a ogni costo che la dichiarazione di indipendenza è ammessa dal diritto internazionale, che non stabilisce alcuna proibizione nei confronti del popolo che sceglie di autodeterminarsi. Ed è quanto è stato affermato dalla Corte internazionale di giustizia, il 22 luglio 2010, a proposito della dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Ma è evidente che al di là degli aspetti formali resta il tema politico. E allora ribadisco che il Psd’Az è un partito indipendentista e l’indipendenza è un percorso politico lungo, lungimirante e responsabile. I sardisti si propongono di accompagnare i sardi lungo questo cammino di libertà, pace e felicità».

L’accordo tra il Psd’Az e la Lega quale influenza potrà avere sulla autonomia sarda?

«Il Psd’Az è il più antico partito federalista d’Italia e alle ultime elezioni politiche ha stretto un’alleanza forte con il più grande partito federalista d’Italia che è la Lega. Questa intesa è stata premiata dal voto dei sardi che hanno consentito ai sardisti di essere rappresentanti, dopo 22 anni di assenza, nel parlamento italiano. Sono convinto che la presenza dei Quattro Mori in Senato e l’intesa con la Lega siano dunque la premessa e la garanzia del rilancio delle politiche del federalismo. E sono ancor più convinto che il ritorno dei sardisti al governo della Regione segnerà il punto di svolta per il superamento dell’autonomia e l’affermarsi delle pratiche dell’autogoverno, restando all’interno di quel percorso di liberazione nazionale che ci condurrà all’indipendenza».

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