La Nuova Sardegna

Esplode il caso energia: la Sardegna senza un piano

Giuseppe Centore
La manifestazione degli operai di Sider Alloys a Villa Devoto
La manifestazione degli operai di Sider Alloys a Villa Devoto

La vertenza Alcoa mette a nudo il contrasto tra la Regione e il governo

24 ottobre 2019
4 MINUTI DI LETTURA





CAGLIARI. La vertenza infinita, quella dove si sono consumate le promesse più strampalate e dove la classe politica locale e nazionale si è giocata quel poco di credibilità rimasta, è tornata. Gli operai ex Alcoa, l’impianto dove si produceva alluminio primario sino a sei anni fa, si sono di nuovo accampati, solo per poche ore, davanti alla Regione. Poco prima di essere ricevuti dal presidente Solinas al quale hanno illustrato lo stallo di un dossier ormai vecchio di dieci anni.

L’incontro tra il governatore e gli ormai stanchi rappresentanti sindacali, gli stessi che hanno combattuto strenuamente contro gli americani di Alcoa, le promesse di Berlusconi e hanno creduto nei progetti di Calenda, è servito solo a ripetere lo slogan che gli operai sardi conoscono a menadito: «apriamo un tavolo per risolvere i problemi». Solinas non si è sottratto a questo rito, pur stantio. «L’immediata apertura da parte della Regione di un tavolo politico che metta assieme azienda, organizzazioni sindacali, Invitalia e Ministero per fare il punto sulla vertenza Sider Alloys, con l’obiettivo di trovare le soluzioni per il riavvio dell'attività produttiva dello stabilimento di Portovesme».

Il governatore ha chiarito che «è fondamentale avviare subito le interlocuzioni che portino ad abbattere il costo dell'energia per la produzione e assicurare competitività nell'Isola a uno dei maggiori player del mercato. Assicuro tutto il mio impegno per sollecitare già dalla prossima settimana tutti i referenti istituzionali. Questa vertenza merita tutta la nostra attenzione perché la sua soluzione può dare un importante impulso al tessuto economico e produttivo del Sulcis Iglesiente», ha concluso.

Anche il suo predecessore Cappellacci ha proposto l’apertura di un tavolo, come se l’interlocuzione istituzionale da sola bastasse a risolvere problemi ormai incancreniti. E problemi a dir poco incancreniti la vertenza Alcoa ne racchiude diversi: c’è quello prettamente industriale e quello energetico, peraltro strettamente collegati. Se i due corni del problema vertono sul negativo, il risultato non può essere che il disastro, o la certificazione del fallimento di un progetto di ripresa annunciato con troppa enfasi e che oggi si rivela invece debole per ragioni oggettive più che per cattiva volontà. Gli impianti delle commodities, delle materie prime, sono sempre più verso i paesi emergenti. Come per Ilva, tragico confronto, il futuro è in sudest-asiatico.

Il prodotto. Sino al 2013 a Portovesme si produceva alluminio primario, poi lavorato altrove. Gli americani di Alcoa, che acquistarono al tempo del governo Amato (1993) lo stabilimento, per una decina d’anni mandarono a manetta le celle. Il mercato tirava, come il prezzo della materia prima che da 1700 euro a tonnellata arrivò nel 2008 a 3mila dollari. Nel 2009 la crisi, col prezzo a 1200 e la decisione degli americani di chiudere e andare in Arabia e Islanda. Luoghi ameni e diversi che hanno in comune l’energia a basso costo. La vera materia prima per produrre alluminio infatti è l’energia elettrica. Per una tonnellata servono 4 tonnellate di bauxite e 14 megawatt di energia. Ecco perchè le industrie hanno a fianco, o dentro, una centrale dedicata. Alcoa aveva vicino una centrale Enel per le necessità dell’impianto e aveva contratti di acquisto speciali. Del resto consumava il 40 per cento di tutta l’energia per uso industriale e il 20 per cento di quella prodotta qui.

L’energia. E arriviamo al secondo corno del problema. Gli impianti high-intensive, come quello che sia pur su scala ridotta dovrebbe nascere dalle ceneri di Alcoa, con gli svizzeri di Sider Alloys hanno bisogno di contratti estesi nel tempo e certi per forniture della loro vera materia prima: l’energia. Oggi in Italia, perchè il mercato elettrico è nazionale, non ci sono le condizioni per garantire l’avvio della ex Alcoa. Il prezzo del megawatt è più alto di quanto necessario, e invece di avere un surplus di produzione come ora di energia, che viene “usata” dal sistema nazionale, avremmo nel caso di riavvio di ex Alcoa un deficit di energia. Se i progetti e le strategie fossero chiare e definite non ci sarebbero difficoltà. Ma è l’esatto opposto. Il carbone, su questo il governo, come il precedente sembra irremovibile, non sarà più bruciato a Portovesme e a Fiume Santo nel 2025. Il metano, se tutto va bene arriverà nel 2024, e in ogni caso non potrà servire quello stabilimento perchè per convertire le attuali centrali elettriche a gas ci vuole tempo.

Il nuovo e futuribile elettrodotto, opera meritoria e sicuramente strategica, volendo fare le corse contro il tempo entrerà in esercizio nel 2030. Se almeno ci fosse l’impianto di bauxite ex Eurallumina, si avrebbe una parte del ciclo chiuso. Ma anche lì siamo in alto mare. Serve il metano che però non può arrivare per tempo e garantire il riavvio degli impianti. Il tempo gioca contro le industrie energivore, e inquinanti. Qualcuno ne è anche contento. Non sicuramente gli operai del sud Sardegna, che si aggrappano prima della pensione agli scampoli di cig. Altro che tavoli.

In Primo Piano
La lotta al tabacco

Un sardo su tre fuma e i divieti sono ancora blandi

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative