Sassari, diffamate sul web per i tacchi: a processo i leoni da tastiera
di Nadia Cossu
La foto ritrae alcune donne in processione, ma i commenti degenerano. Le vittime si rivolgono al tribunale. Citazione diretta a giudizio per tre sassaresi
3 MINUTI DI LETTURA
SASSARI. Erano convinti che quella “goliardata” virtuale tra amici restasse confinata nella bacheca Facebook (privata) di uno dei tre. E invece qualcuno aveva avuto modo di leggere tutto e i commenti, ritenuti diffamatori, erano finiti dritti sul tavolo del pubblico ministero Paolo Piras. L’esito: citazione diretta a giudizio per tre persone e inizio del processo il 6 febbraio.
L’antefatto. Il 5 giugno del 2016 sul gruppo Facebook “Sei di Sassari se 2.0...” qualcuno pubblica la fotografia delle gambe e dei piedi di tre donne che camminano su tacchi vertiginosi durante il corteo religioso per le vie della città. L’immagine è accompagnata da una didascalia: «Comode scarpe da processione». E a quel punto partono una serie di commenti, alcuni sbeffeggianti, altri più scherzosi, altri ancora di duro attacco verso chi si era permesso di giudicare l’abbigliamento in processione.
Due donne in particolare non si prestano a quel “gioco” su Facebook e criticano l’incoerenza di chi, pur partecipando a una cerimonia religiosa, «si preoccupa dell’abbigliamento degli altri mostrando superficialità e un atteggiamento in contrasto con lo spirito che dovrebbe animare un fedele».
La vicenda, per alcuni versi grottesca, non si è però fermata a uno scambio di opinioni su Facebook ma è arrivata in tribunale perché l’avvocato Ivano Iai – che difende una delle due donne intervenute in difesa dei “tacchi” – dopo l’episodio aveva depositato una denuncia-querela per diffamazione aggravata.
Era successo infatti che nella bacheca Facebook della stessa persona che aveva scattato la foto, si era aperta una conversazione in qualche modo parallela a quella del gruppo “Sei di Sassari se...2.0” ma con toni più pesanti. Tre amici ultracinquantenni replicavano tra loro ai commenti delle due donne convinti che la chiacchierata restasse nel “recinto” protetto del proprio profilo Facebook. Non ne avevano mai fatto il nome ma le avevano apostrofate con epiteti volgari e offensivi. «Attacchi virulenti» li aveva definiti l’avvocato Iai nella denuncia. Commenti dove le parole più “gentili” utilizzate per descriverle erano: «Due frustrate», «due dementi», «due capre». E ancora: «Mettono il tacco 12 con plateau, jeans aderenti (...) e camminano con la postura di un dinosauro T-Rex con le emorroidi». E altri epiteti impubblicabili.
A maggio del 2017 il sostituto procuratore Paolo Piras aveva chiesto l’archiviazione del procedimento ritenendo che non ci fossero «elementi utili all’identificazione degli autori del fatto». L’avvocato Iai si era opposto sostenendo che «l’identità degli autori delle frasi diffamatorie fosse facilmente accertabile, ad esempio esaminando le foto inserite nel profilo dei commentatori». Una nota della polizia postale fornì l’esito del confronto tra le foto inserite nei profili personali degli indagati e quelle presenti nelle carte d’identità depositate all’ufficio anagrafe. In questo modo era stato possibile ricondurre i commenti offensivi e diffamatori ai tre sassaresi che si sono rivolti all’avvocato Stefano Porcu e che ora dovranno affrontare un processo per diffamazione.
L’antefatto. Il 5 giugno del 2016 sul gruppo Facebook “Sei di Sassari se 2.0...” qualcuno pubblica la fotografia delle gambe e dei piedi di tre donne che camminano su tacchi vertiginosi durante il corteo religioso per le vie della città. L’immagine è accompagnata da una didascalia: «Comode scarpe da processione». E a quel punto partono una serie di commenti, alcuni sbeffeggianti, altri più scherzosi, altri ancora di duro attacco verso chi si era permesso di giudicare l’abbigliamento in processione.
Due donne in particolare non si prestano a quel “gioco” su Facebook e criticano l’incoerenza di chi, pur partecipando a una cerimonia religiosa, «si preoccupa dell’abbigliamento degli altri mostrando superficialità e un atteggiamento in contrasto con lo spirito che dovrebbe animare un fedele».
La vicenda, per alcuni versi grottesca, non si è però fermata a uno scambio di opinioni su Facebook ma è arrivata in tribunale perché l’avvocato Ivano Iai – che difende una delle due donne intervenute in difesa dei “tacchi” – dopo l’episodio aveva depositato una denuncia-querela per diffamazione aggravata.
Era successo infatti che nella bacheca Facebook della stessa persona che aveva scattato la foto, si era aperta una conversazione in qualche modo parallela a quella del gruppo “Sei di Sassari se...2.0” ma con toni più pesanti. Tre amici ultracinquantenni replicavano tra loro ai commenti delle due donne convinti che la chiacchierata restasse nel “recinto” protetto del proprio profilo Facebook. Non ne avevano mai fatto il nome ma le avevano apostrofate con epiteti volgari e offensivi. «Attacchi virulenti» li aveva definiti l’avvocato Iai nella denuncia. Commenti dove le parole più “gentili” utilizzate per descriverle erano: «Due frustrate», «due dementi», «due capre». E ancora: «Mettono il tacco 12 con plateau, jeans aderenti (...) e camminano con la postura di un dinosauro T-Rex con le emorroidi». E altri epiteti impubblicabili.
A maggio del 2017 il sostituto procuratore Paolo Piras aveva chiesto l’archiviazione del procedimento ritenendo che non ci fossero «elementi utili all’identificazione degli autori del fatto». L’avvocato Iai si era opposto sostenendo che «l’identità degli autori delle frasi diffamatorie fosse facilmente accertabile, ad esempio esaminando le foto inserite nel profilo dei commentatori». Una nota della polizia postale fornì l’esito del confronto tra le foto inserite nei profili personali degli indagati e quelle presenti nelle carte d’identità depositate all’ufficio anagrafe. In questo modo era stato possibile ricondurre i commenti offensivi e diffamatori ai tre sassaresi che si sono rivolti all’avvocato Stefano Porcu e che ora dovranno affrontare un processo per diffamazione.