La Nuova Sardegna

Un’orchidea che bonifica le miniere

Un’orchidea che bonifica le miniere

Pubblicato uno studio dell’università di Cagliari: può assorbire i metalli pesanti

11 dicembre 2019
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CAGLIARI. Non solo non ha paura degli ambienti contaminati, ma addirittura è in grado di assorbire i veleni operando una sorta di “bonifica naturale”. Una scoperta sorprendente, quella riguardante l'orchidea della specie Epipactis helleborine (sottospecie tremolsii) e che potrebbe avere importanti ricadute sul piano ambientale, ad esempio nelle aree delle ex miniere isolane. A farla un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze della vita e dell'ambiente (sezione botanica) dell'università di Cagliari, coordinato da Pierluigi Cortis. Gli esperti hanno studiato le caratteristiche di queste orchidee proprio in un’area mineraria dismessa, quella di Barraxiutta a Domusnovas, nel Sulcis-Iglesiente, nella quale venivano estratti principalmente zinco e piombo. Lo studio è stato già pubblicato sulla rivista internazionale Ecotoxicology and Environmental Safety.

La Epipactis helleborine tremolsii, simile alla sottospecie latina e diffusa in Sardegna e sull’Appennino tosco-emiliano, a prima vista non sembrerebbe avere alcunché di speciale rispetto alle “cugine”, facendo registrare tra l’altro dimensioni leggermente ridotte e un'efficienza fotosintetica minore, ma nasconde una capacità straordinaria: può crescere nel bel mezzo dei fanghi di scarto delle miniere, ricchi soprattutto di zinco e piombo, e di trattenere questi metalli pesanti assorbendoli dal terreno.

Nella medicina popolare antica questa pianta era utilizzata come vulneraria, cioè in grado di guarire le ferite. Ma c’è da sperare che questa orchidea potrebbe un giorno esser e usata per recuperare le tante aree contaminate dell’isola? È ancora troppo presto per dirlo, ma è certo che il suo utilizzo in questo campo sarò ora indagato in modo più approfondito per uscire dai laboratori ed entrare nella ricerca applicata. «Grazie alla collaborazione con gruppi di ricerca delle università di Milano Bicocca, Salerno, Varsavia e del dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell'università di Cagliari – spiega Pierluigi Cortis – la ricerca ha permesso di capire come queste orchidee non solo crescano in presenza di contaminanti ambientali, ma di come siano anche in grado di accumularli all'interno dei loro tessuti. In alcune fasi del loro ciclo vitale le orchidee sono obbligate a entrare in simbiosi con alcuni microfunghi presenti nel suolo. Il prossimo passo della ricerca sarà proprio quello di approfondire in che modo i microfunghi possano contribuire alla tolleranza di questa orchidea nei confronti dei contaminanti ambientali». (a.palmas)

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