La Nuova Sardegna

TENNIS

Un coach di Porto Torres per la campionessa tedesca

di Gianni Bazzoni
Un coach di Porto Torres per la campionessa tedesca

Il 27enne Antonio Zucca è nello staff tecnico della tennista Laura Siegemund. L’incontro a Roma e i tornei dello Slam per la coppia unita anche fuori dal campo

20 gennaio 2020
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PORTO TORRES. «Scene così non le dimentichi facilmente: la natura violentata dagli incendi, l’aria che diventa irrespirabile. Se lo vedi in tv o lo leggi sui giornali è una cosa, ma quando sei testimone diretto ti rendi conto di quanto sia enorme il dramma». Antonio Zucca, 27 anni di Porto Torres, da dieci gira da una parte all’altra del globo, oggi è uno dei più giovani coach internazionali del tennis, fa parte dello staff tecnico di Laura Siegemund, la 30enne campionessa tedesca con la quale da qualche tempo è nata una relazione, e in questi giorni Antonio e Laura si trovano a Melbourne per gli Australian Open di tennis dove lei comincerà a giocare da domani.

«Qualche giorno fa c’è stata una tregua grazie al vento e alla pioggia – racconta Antonio Zucca – ma la situazione è sempre critica. Ci sono giocatori che si sono allenati al coperto, qualche partita è stata sospesa perchè davvero non si poteva respirare. Anche l’incontro di Laura con la Sharapova, una dimostrazione per beneficenza, alla fine è stato interrotto».

Proviamo a raccontare la sua storia? Così giovane e già coach, uno che ama giocare potrebbe pentirsi?

«Assolutamente no, rifarei tutto nello stesso modo. É capitato per caso è vero, non ci avrei mai pensato. Mi aspettavo di fare una scelta simile più avanti, ma evidentemente doveva andare così. Ho fatto grandi sacrifici e ho avuto un po’ di fortuna. Ci ho però messo tanto di mio, nessuno mi ha regalato niente».

Dal lavoro all’amore, a volte le storie delle persone riservano incontri quasi da fiaba...

«Parlo poco della mia vita privata, è giusto così. Con Laura ci siamo conosciuti a Roma poco più di tre anni fa. Lei giocava, io ero stato chiamato per fare lo sparring agli Internazionali, abbiamo provato il primo giorno, a lei andava bene il mio modo di giocare. E siamo andati avanti. Ci siamo scambiati i numeri di telefono e un generico arrivederci».

E poi?

«Mi aveva contattato in occasione del Roland Garros, io ero pronto a partire ma durante i quarti di finale del torneo di Norimberga Laura aveva avuto un brutto infortunio, la rottura del legamento crociato del ginocchio destro. Saltò tutto, io continuai a scriverle per sapere come stava, per dare nel mio piccolo un segnale di incoraggiamento. Non ha senso esserci solo quando le cose vanno bene, quello lo sanno fare tutti».

Due combattenti niente male che si incontrano di nuovo?

«Forse era destino. Due anni fa, quando ha ripreso a giocare dopo una lunga fase di recupero, Laura mi ha scritto per chiedermi se ero disponibile a lavorare con lei. C’era da spostarsi in Germania, a Stoccarda. L’allenatore che aveva non poteva più seguirla, anche se è rimasto nello staff. Non ci ho pensato due volte, ho fatto la valigia e sono andato».

Così è diventato parte di un progetto di sport e di vita?

«Diciamo di sì. Laura è una ragazza speciale, lavora tanto. Ma non viviamo solo di tennis, lei ha una laurea in psicologia, abbiamo tanti interessi. L’infortunio l’ha bloccata nel momento migliore della carriera quando era numero 27 al mondo, poi è scivolata giù. Ma ha grinta, voglia di risalire, oggi è al 72° posto e vuole puntare ancora in alto. Tornare tra i primi 50 è un obiettivo a breve termine».

Da giocatore leader in Sardegna (lei è stato numero mille al mondo) a coach internazionale. Cosa cambia?

«Tutto. Ho iniziato a giocare a sei anni. Avevo provato il calcio ma non era per me. Volevo fare uno sport singolo, dove si doveva capire cosa ero in grado di fare da solo. E la mia strada era il tennis: il mio primo maestro è stato Paolo Pani, è lui che mi ha aperto le porte. A livello giovanile ho iniziato a vincere, a 17 anni sono partito e ho cominciato a girare».

Un lungo viaggio?

«Prima in Arabia, dove sono rimasto 5 mesi. Poi cinque anni in Liguria, e ancora Firenze, Roma. La mia classifica è diventata sempre migliore. Per noi sardi è più difficile: nasci in una terra dove giochi anche quando piove e tira vento, quasi sempre all’aperto salvo rare eccezioni. Poi per crescere, per avere opportunità, devi andare via. Ma non ho pentimenti, rifarei altre mille volte la stessa scelta».

Lei è un giramondo che ama tornare a casa?

«Ogni settimana un posto diverso, ora è così. Per 40-45 settimane da una parte all’altra. L’anno scorso sono tornato solo tre volte a Porto Torres. Quando posso rientro in Sardegna, è la mia terra: il sole e il mare sono la mia ricarica naturale».

Cosa prevede il viaggio?

«Ora siamo qui per gli Australian Open, poi molto probabilmente in Brasile dove Laura giocherà la Fed Cup, in calendario ci sono tutti i tornei più importanti. Siamo partiti da Stoccarda il 21 dicembre e rientreremo a febbraio. Poi Budapest, l’America. E si vedrà, di mezzo ci sono le Olimpiadi e la Fed Cup. Tanto da fare e da giocare. E chi lo sa...».

Davvero non giocherà più?

«Svelo una cosa: tornerò a marzo per giocare con la squadra del Tennis Club Porto Torres il campionato di serie C. Hanno messo su un bel gruppo che può puntare alla B. Una esperienza nuova e particolare fino a maggio. Farò qualche torneo in Germania, ma niente di più. La priorità è stare con Laura».

Poi solo coach?

«Mi piace stare dall’altra parte. Sto crescendo partita dopo partita, mi rendo conto che sono giovane e ho poca esperienza, ma ho già fatto tanta roba (si dice così?). Stare in mezzo ai campioni, vederli all’opera, studiare i dettagli di gente come Nadal e Fereder è una lezione ogni giorno. Prima li vedevo solo in tv».

Un grazie da recapitare a qualcuno?

«Ai miei genitori. Il 90 per cento di ciò che sono riuscito a fare è merito loro, hanno investito tanto su di me. Sacrifici enormi che non si possono neanche immaginare. Il tennis è uno sport costoso, paghi tutto. Spero di averli ricompensati nel giusto modo».



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