La Nuova Sardegna

Il commento: "Meno allarmismi, più informazione"

Luca Rojch
Il commento: "Meno allarmismi, più informazione"

La psicosi del contagio da nuovo Coronavirus colpisce l'isola

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Un virus infetta l’isola. Contagia aeroporti, hotel, ristoranti, scuole, cinema, dilaga nei posti di lavoro e nei locali pubblici. Ammorba ricchi e poveri, dotti e incolti, letterati e leoni da tastiera. È la psicosi del coronavirus. La paura si diffonde per mitosi in modo più veloce di qualsiasi duplicazione cellulare. Corre sul circuito dei social, si alimenta di fake news, di persone che al massimo leggono il titolo di un giornale e si sentono già virologi con esperienza internazionale accumulata in anni di scroll di mouse su Facebook.E dopo anni di terrapiattismo, teorie no-vax, negazionismo, riabilitazione di nazionalismi, fascismi, il qualunquismo digitale ha preso il potere della rete.

L’analfabetismo è diventato orgoglio e l’ignoranza il metro di misura della conoscenza. La rete è diventata il patibolo digitale su cui immolare chiunque non corra sul pensiero unico del web. Si può dire che era inevitabile che anche in Sardegna arrivasse il coronavirus. L’isola è collegata con Milano con decine di voli settimanali. Ed è quasi impossibile per un sardo non andare nella capitale economica dell’Italia e nella regione più produttiva dello stivale. Impossibile blindare le frontiere di un popolo di migranti. L’idea della regione sigillata è un’utopica forma di propaganda politica.

Comica quasi come gli annunci dell’assessore alla Sanità Nieddu, pronto a mettere in quarantena 100mila sardi. Sarebbe forse meglio che la Regione si concentrasse più sull’informazione che sulla versione paillettes e riflettori che in queste settimane è stata data sul coronavirus. Di sicuro contagioso, di sicuro pericoloso, ma non apocalittico. L’Italia è diventata una nazione chiusa per paura. E la Sardegna rischia di scivolare in questo baratro. Nella bettola della civiltà, Facebook, già è partita la caccia all’untore. Con foto che documentano i luoghi in cui potrebbe essere stato il paziente uno sardo. Ecco perché la Regione dovrebbe spiegare che il contagio è più virtuale del web. Che non ci sono focolai in Sardegna, e non ci si può fare prendere dal terrore. Il coronavirus non è la peste, e neanche la Spagnola, che un secolo fa uccise 100 milioni di persone. Per il coronavirus sono morte 3mila persone nel mondo, la maggior parte già compromessa da altre patologie. L’influenza ogni anno in Italia fa tra le 300 e le 400 vittime, ma il numero sale e arriva tra le 4 e le 10 mila vittime all’anno per complicanze.

Ma mai come ora un’epidemia è diventata un caso più politico che sanitario. La percezione del coronavirus è plasmata dai Palazzi. Dalle scelte del governo, da quelle della giunta. Dai provvedimenti presi dagli amministratori. Il paese viene blindato dalla paura. Chiuso per un timore alimentato dal timore. Una visione parossistica della realtà. Basterebbe spiegare che un po’ di sapone, la buona abitudine di lavarsi le mani, e il rispetto delle norme igieniche sono il più grande vaccino contro questa e altre malattie. In questo clima di terrore gli aerei non volano più. I turisti non arrivano più.

I sardi non riescono più a spostarsi dalla loro isola. Ma forse quello che non si può curare è la chimica del cervello. Il contagio della paura che sembra avere già infettato la maggior parte delle persone. E alla fine a essere sterminata dal coronavirus sarà la capacità di ragionare con la propria testa. Perché come sempre l’ignoranza è la malattia peggiore che possa capitare a un uomo.

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