La Nuova Sardegna

Centinaia di emigrati sardi bloccati per ore nei porti prima del ritorno a casa

Centinaia di emigrati sardi bloccati per ore nei porti prima del ritorno a casa

Fermati a Genova, Livorno, Civitavecchia e Palermo: poi il via libera e la partenza verso casa

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SASSARI. Sono rimasti intrappolati a un passo da casa, senza sapere cosa fare e dove andare. Per diverse ore hanno temuto di dover trovare cibo e alloggio vagabondando in città spettrali, enormi centri urbani letteralmente chiusi per “virus”, rischiando pure di beccarsi una denuncia per essere stati sorpresi fuori dalla loro residenza. L’immediata chiusura dei porti imposta dalla ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, per un paio d’ore ha creato una nuova categoria di profughi sanitari: i sardi, e residenti in Sardegna, che non potevano ritornare a casa.

Per fortuna in tarda serata è arrivato un contrordine mascherato da deroga alla chiusura e i passeggeri sono stati accolti a bordo. Il prologo, comunque, era di quelli da incubo perché molti hanno scoperto il decreto ministeriale mentre si apprestavano ad effettuare i controlli prima dell’imbarco. A Genova erano una settantina i sardi intrappolati in banchina, una ventina erano a Livorno, una trentina a Palermo e un numero imprecisato a Civitavecchia. Tutti in attesta di rientrare a casa nei giorni dove tutti invitano tutti a stare a casa. Una situazione paradossale. Giuseppe era pronto a partire dalla Liguria per Porto Torres e ha raccontato la situazione al porto di Genova: «Stavamo effettuando i controlli quando uno degli addetti ci ha informato del blocco appena entrato in vigore. Non ci sembrava possibile e dalla Sardegna non arrivano rassicurazioni di alcun tipo, nessuno sapeva cosa fare – spiega –. Intanto eravamo in settanta, tutti sardi, senza un tetto da mettere sopra la testa. Ora affronteremo la quarantena, come da disposizioni. E va bene così».

In banchina i problemi erano tanti, come le storie di chi si è trovato all’improvviso nei panni del profugo: «C’erano studenti ma anche persone che hanno appena perso il lavoro proprio per colpa del Coronavirus e che ormai non hanno nemmeno una giustificazione per non stare in Sardegna – aggiunge Giuseppe–. Per fortuna non siamo stati costretti a cercare un alloggio. I marittimi avevano già detto ai più giovani che non avrebbero potuto dormire al porto». Davide era nella stessa situazione, solo che la sua banchina era quella del porto di Livorno: «Ci hanno abbandonati senza uno straccio di spiegazione – spiega in un video che ha caricato su Facebook –. Non sapevamo cosa fare. Gli alberghi e i ristoranti erano chiusi ma anche se fossero aperti, non tutti se li sarebbero potuti permettere. C’era gente che rientrava in Sardegna dopo aver perso il lavoro e c’erano persone di una certa età costrette a stare in banchina. Alcuni si sono sentiti male. Per fortuna alla fine ci hanno fatti imbarcare». Ma c’è pure il paradosso nel paradosso, perché a Genova è arrivato un gruppo di sardi direttamente dalla Norvegia, non tanto perché lo volesse o gli fosse stato imposto dalle autorità locali. Si sono messi in viaggio solo dopo aver ricevuto un invito al rimpatrio direttamente dal consolato italiano. Poche parole, ma chiare: «Rientrate subito a casa vostra». Detto, fatto. E se la comitiva non ha avuto alcun problema a superare le frontiere, una volta arrivata a un passo dalla meta si è dovuta fermare. I porti sardi sono stati chiusi nel giro di un paio d’ore, senza alcun tipo di avviso. Esattamente come sono stato riaperti. (c.z.)
 

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