«Senza test diagnostici per il coronavirus la Sardegna non può ripartire»
Mario Macis, docente di economia alla John Hopkins di Baltimora: «Impossibile prevedere date. L’isola ha numeri bassi ma bisogna essere pronti a un’eventuale nuova ondata»
SASSARI. La ripartenza dell’isola è possibile ma solo a determinate condizioni: più controlli, sorveglianza su nuovi casi e isolamento dei contatti, anche attraverso app. Condizioni che però ancora non ci sono. A sostenerlo è Mario Macis, economista di Samugheo che insegna alla John Hopkins University di Baltimora, l’università che ha sviluppato il sistema che visualizza e traccia i casi segnalati di Covid-19 nel mondo.
Macis, la Sardegna è tra le regioni con i numeri più bassi. Da cosa dipende?
«In Sardegna i numeri sono inferiori non solo in assoluto, ma anche in proporzione alla popolazione. E se si esclude la provincia di Sassari il contrasto è ancora più accentuato. Il contagio è più rapido nelle zone ad alta densità di popolazione, e dunque l’isola non vi rientra, ma a fare la differenza è stato soprattutto l’avvio del lockdown in una fase in cui il virus non era così diffuso. Il caso Sardegna dimostra l’importanza delle misure di mitigazione come distanziamento sociale e lockdown».
Una situazione che potrebbe favorire una ripartenza più veloce?
«Ha senso pensare a una riapertura graduale con tempi differenziati nelle diverse aree del Paese, ma bisogna stare molto attenti. Non è più una questione di date. Ci ho pensato parecchio e mi sono chiesto: ci sono le condizioni per ripartire?».
Ha trovato la risposta?
«Riaprire troppo presto può essere rischioso. Altre epidemie del passato sono avvenute a ondate. La spagnola ne ebbe due o tre e la seconda fu peggiore della prima. Dunque, fino a che non c’è una cura o meglio ancora un vaccino il virus non scompare e bisogna conviverci. Per questo si può ripartire solo se ci sono le condizioni per soffocare sul nascere eventuali focolai. E dunque controlli, sorveglianza per identificare in maniera tempestiva i nuovi casi, tracciare i contatti e procedere al loro isolamento. Anche tramite tecnologie digitali come in Corea. Bisogna trovare un modo per fare ripartire l’economia garantendo un minimo di sicurezza per evitare di ricascarci. Fino a che non viene fuori una cura o un vaccino non è possibile tornare alla vita normale. Le persone devono capirlo. E ci vuole la volontà da parte delle autorità di creare le condizioni necessarie».
Condizioni che ancora non ci sono, sembra di capire.
«Purtroppo no. La Sardegna è tra le regioni che hanno effettuato il numero più basso di tamponi in Italia. Il che vuole dire che non ci sono risorse a sufficienza per consentire di fare test diagnostici tempestivi e a quel punto gli eventuali focolai potrebbero andare fuori controllo, non si riuscirebbe a gestire una seconda ondata. Queste condizioni devono essere accompagnate da altri accorgimenti: mascherine e guanti devono essere forniti a tutti, a partire dai sanitari».
Controlli, mascherine. Poi?
«Anche i posti di lavoro vanno messi in sicurezza. Negli Usa le aziende hanno già installato separatori di plexiglass. Gli epidemiologi sono essenziali ma c’è anche bisogno di competenze di tipo logistico e manageriale per mettere in sicurezza posti di lavoro, esercizi commerciali».
Quali attività potranno ripartire per prime?
«Quelle che comportano contatti personali più limitati. Inoltre, dove è possibile, bisogna continuare a incoraggiare l’attività in telelavoro».
Che tipo di stagione sarà?
«Il turismo è un settore che va sostenuto dallo Stato perché è estremamente colpito. Se anche la Sardegna fosse la prima ad aprire le attività credo che in una prima fase ci saranno ingressi molto limitati nell’isola. Non sarà semplice».
E le spiagge potranno essere frequentate?
«Come minimo si dovrà pensare a numeri contingentati, turni, distanze di sicurezza e limiti alle aggregazioni di persone. Non facile da realizzare e saranno necessari controlli. Bisognerà sentire gli scienziati se e sotto quali condizioni si può pensare di aprire le spiagge».
L’economia è in ginocchio: gli interventi di Stato e Regione sono sufficienti?
«C’è sì la consapevolezza sulla necessità di interventi massicci e tempestivi. Ma non se ne percepisce la tempestività».
È possibile fare una previsione sulla data della ripartenza?
«Di date ne parlano alcuni politici, a mio avviso sbagliando. Bisogna parlare di condizioni. Ma purtroppo né negli Usa né in Italia mi pare vedere una articolazione di quali condizioni devono essere messe in piedi e cosa sia sta facendo per realizzarle».