La Nuova Sardegna

«Senza test diagnostici per il coronavirus la Sardegna non può ripartire»

di Alessandro Pirina
«Senza test diagnostici per il coronavirus la Sardegna non può ripartire»

Mario Macis, docente di economia alla John Hopkins di Baltimora: «Impossibile prevedere date. L’isola ha numeri bassi ma bisogna essere pronti a un’eventuale nuova ondata»

15 aprile 2020
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SASSARI. La ripartenza dell’isola è possibile ma solo a determinate condizioni: più controlli, sorveglianza su nuovi casi e isolamento dei contatti, anche attraverso app. Condizioni che però ancora non ci sono. A sostenerlo è Mario Macis, economista di Samugheo che insegna alla John Hopkins University di Baltimora, l’università che ha sviluppato il sistema che visualizza e traccia i casi segnalati di Covid-19 nel mondo.

Macis, la Sardegna è tra le regioni con i numeri più bassi. Da cosa dipende?
«In Sardegna i numeri sono inferiori non solo in assoluto, ma anche in proporzione alla popolazione. E se si esclude la provincia di Sassari il contrasto è ancora più accentuato. Il contagio è più rapido nelle zone ad alta densità di popolazione, e dunque l’isola non vi rientra, ma a fare la differenza è stato soprattutto l’avvio del lockdown in una fase in cui il virus non era così diffuso. Il caso Sardegna dimostra l’importanza delle misure di mitigazione come distanziamento sociale e lockdown».

Una situazione che potrebbe favorire una ripartenza più veloce?
«Ha senso pensare a una riapertura graduale con tempi differenziati nelle diverse aree del Paese, ma bisogna stare molto attenti. Non è più una questione di date. Ci ho pensato parecchio e mi sono chiesto: ci sono le condizioni per ripartire?».

Ha trovato la risposta?
«Riaprire troppo presto può essere rischioso. Altre epidemie del passato sono avvenute a ondate. La spagnola ne ebbe due o tre e la seconda fu peggiore della prima. Dunque, fino a che non c’è una cura o meglio ancora un vaccino il virus non scompare e bisogna conviverci. Per questo si può ripartire solo se ci sono le condizioni per soffocare sul nascere eventuali focolai. E dunque controlli, sorveglianza per identificare in maniera tempestiva i nuovi casi, tracciare i contatti e procedere al loro isolamento. Anche tramite tecnologie digitali come in Corea. Bisogna trovare un modo per fare ripartire l’economia garantendo un minimo di sicurezza per evitare di ricascarci. Fino a che non viene fuori una cura o un vaccino non è possibile tornare alla vita normale. Le persone devono capirlo. E ci vuole la volontà da parte delle autorità di creare le condizioni necessarie».

Condizioni che ancora non ci sono, sembra di capire.
«Purtroppo no. La Sardegna è tra le regioni che hanno effettuato il numero più basso di tamponi in Italia. Il che vuole dire che non ci sono risorse a sufficienza per consentire di fare test diagnostici tempestivi e a quel punto gli eventuali focolai potrebbero andare fuori controllo, non si riuscirebbe a gestire una seconda ondata. Queste condizioni devono essere accompagnate da altri accorgimenti: mascherine e guanti devono essere forniti a tutti, a partire dai sanitari».

Controlli, mascherine. Poi?
«Anche i posti di lavoro vanno messi in sicurezza. Negli Usa le aziende hanno già installato separatori di plexiglass. Gli epidemiologi sono essenziali ma c’è anche bisogno di competenze di tipo logistico e manageriale per mettere in sicurezza posti di lavoro, esercizi commerciali».

Quali attività potranno ripartire per prime?
«Quelle che comportano contatti personali più limitati. Inoltre, dove è possibile, bisogna continuare a incoraggiare l’attività in telelavoro».

Che tipo di stagione sarà?
«Il turismo è un settore che va sostenuto dallo Stato perché è estremamente colpito. Se anche la Sardegna fosse la prima ad aprire le attività credo che in una prima fase ci saranno ingressi molto limitati nell’isola. Non sarà semplice».

E le spiagge potranno essere frequentate?
«Come minimo si dovrà pensare a numeri contingentati, turni, distanze di sicurezza e limiti alle aggregazioni di persone. Non facile da realizzare e saranno necessari controlli. Bisognerà sentire gli scienziati se e sotto quali condizioni si può pensare di aprire le spiagge».

L’economia è in ginocchio: gli interventi di Stato e Regione sono sufficienti?
«C’è sì la consapevolezza sulla necessità di interventi massicci e tempestivi. Ma non se ne percepisce la tempestività».

È possibile fare una previsione sulla data della ripartenza?
«Di date ne parlano alcuni politici, a mio avviso sbagliando. Bisogna parlare di condizioni. Ma purtroppo né negli Usa né in Italia mi pare vedere una articolazione di quali condizioni devono essere messe in piedi e cosa sia sta facendo per realizzarle».

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