La Nuova Sardegna

Pasquale Chessa: «Prima dell’arrivo del Picconatore il Quirinale era solo rappresentanza»

di Alessandro Pirina
Pasquale Chessa: «Prima dell’arrivo del Picconatore il Quirinale era solo rappresentanza»

Lo storico e giornalista: "Mattarella è il presidente che più di tutti interpreta il ruolo di capo dello Stato nel modo in cui fu rivoluzionato da Cossiga"

24 settembre 2020
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SASSARI. Mattarella è il presidente che più di tutti interpreta il ruolo di capo dello Stato nel modo in cui fu rivoluzionato da Cossiga. A sostenerlo è Pasquale Chessa, giornalista e storico algherese, firma di punta dei grandi periodici del Novecento, dall’Espresso a Panorama, da Epoca all’Europeo, che insieme al presidente emerito scrisse tre libri. «In realtà sono quattro – tiene a precisare –. Il primo fu un saggio che feci per l’Europeo dove dirigevo la sezione Cultura. Una sorta di biografia che realizzai con i materiali preparati dalla Nuova Sardegna subito la sua elezione al Quirinale e del suo viaggio pre presidenziale nell’isola. C’erano vari saggi di Manlio Brigaglia, Pietrino Soddu, Peppino Fiori e un’introduzione dell’allora direttore della Nuova, Alberto Statera. Quel materiale divenne il primo libro su Cossiga presidente in cui veniva raccontata Sassari che eleggeva il suo secondo presidente, la città in cui aveva studiato anche Togliatti, per di più nello stesso liceo di Cossiga e Berlinguer. Un libro che ci fece scoprire la cionfra, la sassareseria cossighiana, ma anche la sua parentela con i Berlinguer e le famiglie più eminenti della Sassari storica».

E dopo quel saggio arrivarono tre libri scritti a quattro mani.

«Mi chiese di scriverne un primo, poi sono arrivati gli altri. Non ero un giornalista politico, forse mi scelse perché ero un po’ fuori dai giochi».

Com’era il Cossiga privato?

«Era sempre un grande chiacchierone, anche quando in pubblico era silenzioso. Di lui mi sorprendeva la straordinaria capacità di avere a disposizione un grande arsenale di letture, di conoscenze. Ai tempi mi sembravano anche un po’ strane per un politico dal pensiero cattolico liberal democratico. In particolare per chi come me arrivava dal Sessantotto, dall’Espresso. La sua altra caratteristica era l’apertura verso tutti i contributi, aveva una enorme curiosità per tutti i mondi da lui lontani. Lo ricordiamo anche nel rapporto con gli ex brigatisti. A questa apertura affiancava però una certa rigidità, nel senso che lui pretendeva da tutti un certo tipo di comportamenti, di attestati di fiducia. Con Scalfari litigò perché gli rubò una intervista».

Qual è l’importanza del settennato di Cossiga?

«Cossiga è stato il primo a scoprire la funzione politica del potere del Quirinale. Non che gli altri non la conoscessero, ma allora le fasi della Costituzione erano molto più complicate. E in ogni caso al presidente non era riservato un ruolo di primissimo rango. Se penso a Leone o a Pertini il Quirinale era un potere quasi di immagine, di rappresentanza, molto forte ma fuori dallo stretto gioco politico».

Cos’è cambiato con Cossiga?

«Aiutato dai suoi studi di diritto costituzionale che - come racconta sempre Giuliano Amato - non ha mai smesso di coltivare, Cossiga capisce che il potere del Quirinale ha geometrie variabili. Che può essere fortissimo quando la politica perde la sua presa nella società e assume la funzione di garanzia e iniziativa politica. La sua grande sconfitta politica da presidente fu il modo in cui venne accolto il suo messaggio alle Camere sulle riforme. Gli bruciava il fatto che la politica, improvvisamente, si fosse alleata contro di lui per vanificare questo grande processo di riforme, che nulla aveva a che fare con le piccole riforme di cui si parla oggi. In un certo senso, al di là dei rapporti personali, due generazioni diverse ma anche due modi di vivere a sinistra il pensiero cattolico, credo che insieme a Napolitano, Mattarella sia l’interprete più creativo di questo spazio che Cossiga ha saputo individuare nel sistema politico italiano per la presidenza della Repubblica».

Cosa direbbe Cossiga della situazione politica attuale?

«Sarebbe un argomento romanzesco, ma una risposta non ce l’ho anche perché lui era uno molto imprevedibile. Bastava magari una telefonata di Grillo e lui si sarebbe messo a ragionare con lui. Aveva questa idea tipica della sinistra di costituzionalizzare il conflitto per farlo rientrare nell’alveo di una politica democratica. Ai tempi anche negli scontri più accesi tra i partiti c’era un’idea di politica alta. Da Moro a Fanfani, da Segni a Nenni, da Berlinguer a Cossiga».

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