La Nuova Sardegna

Scuola, tra connessione ballerina e distrazioni la didattica a distanza diventa una lezione di vita

Silvia Sanna
Scuola, tra connessione ballerina e distrazioni la didattica a distanza diventa una lezione di vita

I racconti, le difficoltà e le emozioni degli studenti impegnati nella dad L’amore e la paura: tuteliamo genitori e nonni

05 novembre 2020
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C'è chi cerca di tenere a bada il gatto che miagola, chi prova a spiegare alla mamma che non è bello interrompere la lezione per chiedere "che vuoi a pranzo?". E poi c'è Mimosa, il bassotto della prof di inglese che nel video riconosce il suo dogsitter, si emoziona e allora abbaia: «Ero sotto interrogazione e non riuscivo a parlare perché Mimosa era scatenata, poi la professoressa è riuscita a calmarla. Ma che tenerezza», racconta Josè Gamarra, 18 anni, studente dell'Istituto tecnico Agrario Pellegrini di Sassari. Pillole divertenti di didattica a distanza, la quotidianità di ragazzi inchiodati a casa dal Covid. Adolescenti davanti al pc che sentono il bisogno di evadere e allora via: a piedi, in bici o in auto, a comprare il pane o la frutta. Le cuffiette nelle orecchie, il telefonino e una buona connessione: per la dad è questo l'essenziale, poi servono udito buono e tanta pazienza.

«Perché spesso il segnale salta e allora addio, si ricomincia - racconta Francesco Sechi, 18 anni, di Buddusò, anche lui al Pellegrini - e spesso finisce che perdo parti delle lezioni o lezioni intere e devo chiedere di ripetere. Se mi innervosisco? Un po'. Diciamo che la mia voglia di studiare sta calando parecchio». Già, perché il problema principale per questi ragazzi super digitali, cresciuti a pane e chat, è riuscire a tenere alto il livello di attenzione, per tante ore di fila e molte distrazioni intorno. I fratelli più piccoli «che entrano in stanza e fanno domande», «i messaggi su whatsApp», «mamma o nonna con il caffè». E poi ci sono loro, i professori: alcuni tecnologicamente avanzati, altri che l'anno scorso si sono allenati per bene e altri ancora, quasi tutti più anziani, che davanti a uno schermo entrano in modalità stoccafisso: capacità comunicative vicino allo zero.

«Ma non è colpa loro - dice Martina Licheri, 17 anni, studentessa del Polo tecnico Devilla-Dessì di Sassari - si impegnano al massimo ma questa Dad è complicata per tutti». La speranza è che finisca prima possibile. Ecco perché è importante non perdere le buone abitudini: davanti allo schermo ci si presenta puliti e ordinati, capelli a posto, barba fatta o un velo di trucco. Poi, certo, come dice Andrea Ruzzeddu, 17 anni, liceo Europeo Canopoleno «in queste situazioni quello che conta è il mezzobusto». Quindi niente di strano se sotto la camicia ci sono pantaloni del pigiama e ciabatte.

La bellezza di questi ragazzi è quella di riuscire a cogliere i lati positivi di una situazione complicata. Da quelli più frivoli a quelli di maggiore peso. Per esempio, se fai lezione a distanza non esiste la ricreazione, nel senso che decidi tu quando vuoi bere o mangiare. E il telefono non devi spegnerlo come a scuola, anzi puoi usarlo per tenere vivi i contatti con il resto del mondo limitati dalle regole di sicurezza. Le chat si fanno bollenti, tra compagni di classe e non solo, si commenta ogni cosa, si fanno domande, si ride e ci si consola a vicenda. Perché le difficoltà sono tante. Dice Aurora Usai, 18 anni, studentessa del liceo Coreutico Azuni di Sassari, «noi danziamo e facciamo lezioni anche a distanza. Io sono fortunata perché ho uno spazio sufficiente per muovermi, ma vedo che alcune mie compagne devono adattarsi a spazi piccoli, nell’andito di casa o in un angolo della stanza». E poi c’è il problema di chi invece resta tagliato fuori perché dove abita non c’è la copertura di rete. Come Francesco: «Ho difficoltà soprattutto con la videocamera, a casa siamo in tre a fare dad e spesso si spegne e mi devo accontentare dell’audio». Ma anche in questo caso si guardano gli aspetti positivi. La didattica a distanza, per Francesco come per Aurora che vive a Ittireddu, ha cancellato l’incubo di lunghe trasferte in autobus. Dice Aurora: «Ogni mattino mi svegliavo alle 5.30 per salire sul pullman e rientravo a casa alle 16. Ora la mattina posso dormire di più». Così anche Francesco: «Sull’autobus alle 6 del mattino, rientro a casa alle 21.30 con il mezzo delle 18.30. Nelle cinque ore di intervallo tra la fine delle lezioni e il rientro a casa resto a scuola, nel convitto. Un tour de force in questo periodo ridotto al minimo, solo per le attività di laboratorio. Che con la dad al 100% sarà azzerato». Ma la didattica a distanza era una scelta obbligata oppure no? A malincuore i ragazzi dicono sì. Spiega Miriana Sanna, 17 anni, liceo Scientifico Spano di Sassari: «In classe gli ultimi giorni eravamo rimasti 6 o 7, tutti gli altri avevano paura. Il rischio di contagio è molto alto anche per noi ragazzi e soprattutto tra i pendolari che viaggiano con l’autobus la preoccupazione era fortissima». Così anche Giulia Pintus, 17 anni, liceo Coreutico Azuni: «Noi eravamo rimasti in cinque, impossibile andare avanti con il programma e con le interrogazioni, almeno ora riusciamo tutti a seguire le lezioni». A proposito di paura, l’incertezza del domani è un fardello sulla leggerezza che dovrebbe invece accompagnare questa generazione di adolescenti. Dice Adele Demelas. 17 anni, di Castelsardo, studentessa dell’istituto tecnico Agrario Pellegrini: «Ho capito che con il Covid non si scherza quando ho visto stare male una persona a me molto cara. Giovane come me, che pensava di essere immune proprio per l’età. Invece no, non è così, dobbiamo stare tutti attenti». Aggiunge Federica Pinna, 17 anni, Polo tecnico Devilla-Dessì: «Ho limitato le uscite, mi vedo con poche amiche e sempre con la mascherina e a distanza». Ecco Andrea Ruzzeddu: «Questo virus si può prendere in mille modi, per questo dobbiamo essere tutti responsabili e fare rinunce. Noi per esempio avevamo programmato un viaggio: pazienza, lo rimanderemo». I ruoli si invertono e sono i più giovani a tutelare gli anziani, i più fragili: «Vivo con mia nonna – dice Miriana – è una sofferenza non abbracciarla ma me lo impongo per il suo bene». Così anche Giulia: «Penso ai miei nonni ma anche ai miei genitori, dobbiamo tutelarli perché sono loro il nostro bene più prezioso». E poi: «Non possiamo lamentarci di questa situazione perché siamo noi i primi responsabili – dice José – spiegatemi che senso ha stare in aula a un metro di distanza se poi, come è accaduto spesso, la sera si fanno feste di compleanno e si sta appiccicati anche in uno spazio chiuso? Il problema è che sinora troppe persone hanno pensato che il Covid non potesse toccarle da vicino e sono state irresponsabili. Invece purtroppo è un problema che riguarda tutti: io oggi – continua Josè – dovevo andare a pranzo con un amico che non vedo da un mese. Ieri sera mi ha chiamato per dirmi che il padre si è sentito male ed è stato intubato. Se fosse successo solo 24 ore dopo, ora sarei positivo anche io». Dal racconto di Josè viene fuori il sentimento di incertezza che accomuna giovani e meno giovani. E allora succede che molto più di prima, in questo stato di precarietà, anche gli adolescenti più chiusi superino la loro timidezza, spinti dall’urgenza di comunicare un sentimento: «Ora mi viene naturale dire “ti voglio bene” – racconta Aurora – io che prima non lo facevo mai. Questa situazione mi ha cambiato, mi ha aiutato ad aprirmi». Perché «non dobbiamo dare niente per scontato – aggiunge Francesco – e allora è giusto fare qualunque cosa ti venga in mente. Perché si rischia di non fare in tempo e sarebbe un peccato. Le emozioni vanno vissute ora, poi chissà». Dietro lo schermo gli occhi si fanno lucidi, il Covid con tutte le sue declinazioni è una botta che fa male ma fa anche crescere. Dietro il pc, tra connessioni che saltano e microfoni muti, maturano ragazzi sempre più generosi e sensibili.

 

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