La Nuova Sardegna

Chiusi in casa da un mese in attesa del tampone

Chiusi in casa da un mese in attesa del tampone

Sassari, una famiglia aspetta la visita dell’Usca per effettuare l’ultimo test  Il padre: «Capiamo la situazione ma sono centinaia quelli in questa situazione»

28 novembre 2020
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SASSARI. L’isolamento domiciliare per troppe persone si trasforma in una sorta di naftalina sanitaria, dove si resta a mollo nell’incertezza di essere sano o malato, infetti o immacolati dal virus, ma rinchiusi nell’ampolla domestica per più di trenta giorni in ostaggio dell’Ats e delle Usca che latitano.

Chi è vittima di questa condanna si sente più o meno come quei carcerati innocenti, agli arresti in attesa di sentenza. Paolo Senes è uno di quei 12mila sardi condannati suo malgrado ai domiciliari per Covid. «Avevo un po’ di febbre e il 2 novembre scorso ho deciso di effettuare privatamente un tampone – racconta – il test ha dato esito positivo e da quel giorno mi ritrovo in quarantena. I miei familiari, mia moglie e le mie due figlie inizialmente negative allo stesso tampone, sono risultate positive a un secondo esame svolto sempre privatamente il 6 novembre. Il tutto ci è costato la modica cifra di 480 euro. Ma per la salute, si sa, non si bada a spese».

Viene avvisato subito il medico di famiglia, il quale a sua volta attiva la procedura con le Unità speciali di continuità assistenziale. «Le Usca prendono in carico la segnalazione e ricontattano me e il mio medico di base il 5 Novembre per fissare un tampone di controllo il 12 novembre».

Il nuovo test risulta ancora positivo: «In effetti quel giorno avevo ancora un po di febbre ( 37,4°), ma dall’indomani non ho più avuto né sintomi e né temperatura. Purtroppo però da quel momento l’Usca è scomparsa. Non ho più avuto alcun riscontro, nessuno si è più fatto vivo, e mia moglie e le mie figlie sembrano letteralmente non esistere. Nessuno si è degnato di contattarle, nonostante la segnalazione della loro positività». La situazione diventa ogni giorno più pesante: «Ora siamo tutti e quattro intrappolati dentro casa da 23 giorni, sperando che il telefono squilli ma i giorni passano e non succede nulla. Io, ad esempio, mi sento bene e avrei anche necessità di andare a lavorare: sono un agente di commercio e se voglio portare i soldi a casa devo anche poter uscire». E prosegue: «La sensazione è proprio quella di essere dimenticato. Eppure la circolare n°032850 del 12 Ottobre del Ministero della Salute indica chiaramente che dopo 21 giorni di isolamento si dovrebbe poter tornare alla vita sociale, previa autorizzazione delle autorità sanitarie. Ora, capisco che la situazione sia complicata e che le forze in campo siano poche, ma questo non giustifica il fatto che vengano prese sottogamba delle situazioni che ormai coinvolgono centinaia di persone e che potrebbero essere risolte con un poco di organizzazione». Talvolta la reclusione forzata a domicilio si prolunga per i ritardi nella comunicazione dell’esito del tampone. Il laboratorio di Sassari non è in grado di processare la valanga di test che arrivano giornalmente, e i risultati slittano anche di 5 giorni. In qualche caso i referti addirittura si perdono.

«Dall’Ats mi avevano assicurato che mi avrebbero comunicato il risultato del tampone del 12 novembre nell’arco di un paio di giorni. Ho aspettato una settimana e allora ho cercato io la soluzione. Per fortuna avevo le credenziali per accedere al sito Internet dell’Assl, e lì ho trovato il responso del mio test: positivo. Ma nessuno mi ha mai chiamato per dirmelo. E se non avessi avuto un minimo di confidenza con l’informatica, ancora sarei stato appeso nell’incertezza. Un po’ come lo sono adesso, in attesa del secondo tampone». (lu.so.)

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