«Mezzo secolo di fainè a Sassari dai genovesi a oggi»
Pasquale Porcu
I ricordi di Mario Marongiu che con la famiglia gestisce da 50 anni il forno di via Usai: «Le ricette liguri, i carretti e la serata con Cossiga»
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Niente coltello e forchetta: la fainè si mangia con le mani. Ammessi soltanto i quadratini di carta rustica per impedire che le mani si inzaccherino troppo. E siccome la “affainè” (come molti la chiamano a Sassari) deve essere “calda che brucia”, è consentito soffiare con la bocca e imprecare, come pretende la liturgia di questo antico e celebrato snack che molti vorrebbero inventato a Sassari. In verità questo cibo poverissimo a Sassari è arrivato agli inizi del millenovecento, da Genova. Ora non c’è rivendita di pizzette che non la proponga (in verità, in tempi di pandemia, è consentita solo la vendita da asporto o con consegna a domicilio). Storicamente, però, la fainè aveva la sua roccaforte in via Usai e in un paio di rivendite storiche: quella di Valentino, in Porta Macello, accanto al Mercato Civico, e da Benito, in “Santu Purinairi”, nel centro storico. «Quest’anno – dice Mario Marongiu, titolare del forno storico in via Usai, sempre in elegante camicia bianca e cravatta, quando è in servizio – la mia famiglia festeggia i 52 anni di attività. Il locale che ha sempre ospitato il forno della fainè venne rilevato dalla mia famiglia dal signor Mario Ottonello. L’insegna storica del nostro locale spiega che si tratta di fainè alla genovese. Gli Ottonello, infatti, venivano da Genova e avevano rilevato, a loro volta, l’attività da un’altra famiglia genovese, di cui non ricordo il nome. Ricordo bene Mario Ottonello, una persona per bene, che ha dato da mangiare a decine di famiglie di sassaresi. Arrivavano a Sassari a settembre e tornavano a Genova intorno a marzo. Stavano sempre dentro il locale poiché si lavorava dalla mattina alla sera. E anche la mia famiglia, una volta subentrata nella gestione, seguiva gli stessi ritmi. Erano anni nei quali di pizzerie, forse, ne esisteva solo una ma poco organizzata.
Con le pesche zuccherate
«Le famiglie, quando uscivano, andavano a mangiare la fainè. Noi iniziavamo a lavorare sin dal mattino. Si preparavano gli impasti, osservando le ricette che ci avevano dato gli Ottonello e intorno alle 2 del pomeriggio si preparava il forno. I fornai al mattino facevano altri lavori, spesso muratori, e il pomeriggio erano liberi di fare i fornai da noi». «Alla sera tardi – prosegue Mario – si preparava la fainè che la mattina presto vendevamo a chi, ciascuno col proprio carretto, la rivendeva all’uscita dei ragazzi dalle scuole per la ricreazione. Oltre alla fainè i venditori con i carretti proponevano anche delle belle pesche zuccherate. Quei carretti, sorretti da un triciclo, erano spinti da autentici personaggi che attiravano i ragazzi con battute simpatiche e barzellette. Tutto questo per dire che in quegli anni di fainè se ne vendeva moltissima, soprattutto se la confrontiamo con le quantità attuali». I gusti? «Noi abbiamo sempre proposto le ricette classiche ereditate dagli Ottonello: semplice, con cipolla, con salsicce o con salsicce e cipolle. Abbiamo provato a farla anche con le acciughe, a imitazione di come a Genova la facevano con i pesciolini gianchetti, ma dopo un po’ siamo tornati ai gusti classici». Ma qualcuno negli anni ha voluto sperimentare sapori nuovi, contando sulla versatilità della fainè. E quindi con melanzane oppure con carciofi o con asparagi. Ai gusti classici, comunque, non si può rinunciare. A patto che ci sia una buona farina di ceci, un buon forno e soprattutto un buon fornaio. «Il nostro Giovanni Secchi – dice Marongiu – lavora con noi da più di cinquanta anni, e il nostro forno sforna fainè da più di un secolo. Quella che facciamo noi ha una storia». Non a caso quando Francesco Cossiga era presidente della repubblica volle far conoscere la fainè ai suoi amici romani e blindò via Usai per poter degustare in pace la farinata di ceci di Mario Marongiu.
Con le pesche zuccherate
«Le famiglie, quando uscivano, andavano a mangiare la fainè. Noi iniziavamo a lavorare sin dal mattino. Si preparavano gli impasti, osservando le ricette che ci avevano dato gli Ottonello e intorno alle 2 del pomeriggio si preparava il forno. I fornai al mattino facevano altri lavori, spesso muratori, e il pomeriggio erano liberi di fare i fornai da noi». «Alla sera tardi – prosegue Mario – si preparava la fainè che la mattina presto vendevamo a chi, ciascuno col proprio carretto, la rivendeva all’uscita dei ragazzi dalle scuole per la ricreazione. Oltre alla fainè i venditori con i carretti proponevano anche delle belle pesche zuccherate. Quei carretti, sorretti da un triciclo, erano spinti da autentici personaggi che attiravano i ragazzi con battute simpatiche e barzellette. Tutto questo per dire che in quegli anni di fainè se ne vendeva moltissima, soprattutto se la confrontiamo con le quantità attuali». I gusti? «Noi abbiamo sempre proposto le ricette classiche ereditate dagli Ottonello: semplice, con cipolla, con salsicce o con salsicce e cipolle. Abbiamo provato a farla anche con le acciughe, a imitazione di come a Genova la facevano con i pesciolini gianchetti, ma dopo un po’ siamo tornati ai gusti classici». Ma qualcuno negli anni ha voluto sperimentare sapori nuovi, contando sulla versatilità della fainè. E quindi con melanzane oppure con carciofi o con asparagi. Ai gusti classici, comunque, non si può rinunciare. A patto che ci sia una buona farina di ceci, un buon forno e soprattutto un buon fornaio. «Il nostro Giovanni Secchi – dice Marongiu – lavora con noi da più di cinquanta anni, e il nostro forno sforna fainè da più di un secolo. Quella che facciamo noi ha una storia». Non a caso quando Francesco Cossiga era presidente della repubblica volle far conoscere la fainè ai suoi amici romani e blindò via Usai per poter degustare in pace la farinata di ceci di Mario Marongiu.