La Nuova Sardegna

Da Gavini al giudice Orrù 250 sardi deportati nei lager

di Alessandro Pirina
Da Gavini al giudice Orrù 250 sardi deportati nei lager

La maggior parte tra Mauthausen e Dachau: 91 non sono mai ritornati a casa Quasi tutti imprigionati per motivi politici, tre donne perché erano ebree

27 gennaio 2021
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SASSARI. Le storie di Gavino, Zaira, Bartolomeo, Mario, Cosimo non sono inedite. E non solo perché sono passati quasi ottant’anni da quando le loro vite si sono trovate loro malgrado protagoniste del più brutto film della storia dell’umanità. No, non sono inedite perché c’è chi ha tenuto viva la loro memoria. Con il venire meno - per ragioni anagrafiche - dei sopravvissuti alle deportazioni è però sempre più difficile avere testimonianze dirette di quell’orribile pagina della nostra storia. Ecco perché oggi acquista sempre più valore la Giornata della memoria. Per poter ricordare cosa è stato l’Olocausto. Per evitare che si ripetano gli errori e gli orrori del passato. Per tenere vivo il ricordo delle vittime delle deportazioni nei campi di concentramento. Un tributo che ha pagato anche la Sardegna, anch’essa tra le regioni colpite dalla crudeltà nazi-fascista. Dei 40mila deportati italiani circa 250 erano sardi. Vite diverse - politici, insegnanti, carabinieri, magistrati, soldati, sacerdoti, operai - accomunati dallo stesso tragico destino: la morte in uno dei lager nazisti.

Le ricerche. Non esiste un elenco ufficiale dei sardi deportati. In questi anni sono fatti numerosi studi. Uno degli ultimi porta la firma degli studenti dell’istituto Panedda di Olbia, coordinati dalla professoressa Francesca Trivellin, figlia di Ennio, sopravvissuto ai lager. Dalle loro ricerche sono emersi 167 nomi. Un lavoro seguito da un pellegrinaggio della memoria nei campi di concentramento di Dachau, Hartheim e Mauthausen, dove gli studenti olbiesi portavano in mano i cartelli con i nomi di tutti i deportati sardi. Ma prima di tutti l’argomento era stato sviscerato da Aldo Borghesi, docente di scuola superiore e direttore dell'Istituto per la storia dell'antifascismo e dell'età contemporanea nella Sardegna centrale, che alla ricerca dei sardi deportati ha dato un enorme contributo. Dai suoi studi emerge che la provincia che ha pagato il maggiore tributo è stata quella di Sassari con 69 confinati nei campi di concentramento, 53 arrivavano da quella di Cagliari e 22 dal Nuorese. Dei circa 250 deportati nei lager 91 non hanno mai fatto ritorno a casa: 30 morirono a Mauthausen, 9 a Buchenwald, Dachau e Dora, 7 a Flossenburg.

I deportati. Un solo sardo fu arrestato nell’isola, gli altri finirono nelle mani dei tedeschi nel Nord Italia o oltre confine. Ogni internato nei lager era costretto a esibire un simbolo che indicava la sua “colpa”: la stella di David gli ebrei, il triangolo marrone i rom, il triangolo rosa gli omosessuali, il triangolo rosso i prigionieri politici. A questa categoria apparteneva la maggior parte dei deportati sardi. Tra loro anche tre donne ebree. La cagliaritana Elisa Fargion, arrestata a Ferrara nel 1944, deportata ad Auschwitz e uccisa nelle camere a gas. E Zaira Coen, mantovana ma sposata con il medico sassarese Italo Righi, docente all’Azuni, arrestata a Firenze con destinazione Auschwitz, dove ad aspettare lei e la sorella Ione ci sarebbe stato un tragico destino. E poi Vittorina Mariani, di Porto Torres, fermata alla frontiera svizzera e deportata nel campo di Bergen Belsen, dove fortunatamente è stata poi liberata. Tutti gli altri deportati sardi erano dissidenti politici, invisi al Reich e dunque da internare. Il più vecchio era del 1874, il più giovane del 1928. Gavino Gavini, maresciallo d’artiglieria sassarese, venne arrestato a Verona per aver danneggiato biciclette e pianoforti che doveva caricare su un treno per la Germania. Deportato a Mauthausen il 19 dicembre 1944, morirà pochi mesi dopo. Bartolomeo Meloni era un ingegnere ferroviario di Santu Lussurgiu, che a Venezia compì diversi sabotaggi dei treni deviando verso la Jugoslavia i convogli dei deportati perché lì fossero liberati dai partigiani di Tito: arrestato e torturato, morì nel 1944 a Dachau. Cosimo Orrù, magistrato di San Vero Milis in servizio a Busto Arsizio, membro del Cln, prima internato nel campo di Flossenburg e poi in quello di Litomerice, dopo avere subito atrocità e torture di ogni tipo. E ancora Mario Ardu, di Lanusei, maresciallo d’artiglieria che dopo l’8 settembre abbandonò la divisa e si arruolò con i partigiani. Arrestato dai fascisti, finirà a Hersbruck, dove morirà dopo essere stato oggetto di esperimenti da parte dei medici nazisti. Giovannino Biddau, operaio partigiano di Ploaghe, morto a Flossenburg, mentre il figlio Natale riuscirà a salvarsi. E ancora il colonnello sassarese Paolo Tola, morto a Bergen Belsen, il finanziere Giovanni Gavino Tolis di Chiaramonti ha incontrato lo stesso tragico destino a Mauthausen, come anche Pietro Meloni di Sestu e Antonio Cabras di Cagliari. E come il maresciallo Orlando Selis di Usini. O Giovanni Antonio Vacca, avvocato antifascista di Ovodda, mai più tornato da Buchenwald.

La memoria. Nel dopoguerra - ma molto dopo perché la maggior parte dei sopravvissuti scelse il silenzio prima di raccontare le atrocità viste e subite nei lager - è iniziato un lavoro per tenere viva la memoria di quanto accaduto. Lo hanno fatto gli stessi protagonisti di quelle terribili pagine di storia. Come Gigi Rizzi di Ploaghe, arruolato fra gli schiavi di Hitler a Ebensee, il gallurese Giuseppe Fideli, Modesto Melis, operaio di Gairo, don Mario Crovetti, sassarese, parroco nel Modenese, dove fu arrestato perché sospettato di favorire i partigiani. Per anni hanno portato la loro testimonianza diretta, soprattutto agli studenti. Oggi non ci sono più e il loro testimone è passato ai figli, alla scuola, alle istituzioni. Perché il dovere della Giornata della memoria è quello di ricordare sempre - in particolare ai più giovani, anagraficamente lontanissimi da quell’epoca -fin dove può arrivare la crudeltà dell’uomo.

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