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«A 18 anni ho cambiato sesso ora ho paura e mi nascondo»

di Silvia Sanna
«A 18 anni ho cambiato sesso ora ho paura e mi nascondo»

La storia di dolore e coraggio di Alessia che combatte contro la discriminazione «Ho subìto botte e umiliazioni. Le persone come me non vengono accettate» 

31 gennaio 2021
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SASSARI. Quando entrava nel bar il ragazzo al bancone le faceva la radiografia, i suoi occhi li sentiva appiccicati addosso come una seconda pelle. Sino a quando le ha chiesto il nome. Dal giorno dopo ha smesso di guardarla e di rivolgerle la parola se non per dirle “vedi di non farti più vedere qui dentro”. E per essere più chiaro le ha dato una spinta e l’ha scaraventata sull’asfalto. «Mi ha fatto più male di quando a scuola alle medie mi chiamavano frocetto. Ma poi ho capito: lui si vergognava ad ammettere di essere attratto da me, da una donna nata uomo». L’aveva scoperto su internet: «Cercava informazioni su di me e ha trovato riferimenti sul mio percorso».

Quello che ha portato Alessia (non è il suo vero nome), oggi 23 anni, a cambiare sesso: «Finalmente donna, come mi sento da sempre anche se quando ero ragazzina facevo fatica ad ammetterlo. I miei compagni l’avevano capito subito, mi prendevano in giro, sapevano essere feroci. Le Medie sono state il periodo più duro, perché io già sapevo chi ero e come volevo diventare. I miei genitori invece non lo avevano capito. Io fingevo, dicevo che mi piacevano le ragazze. Avevo paura di farli soffrire, di deluderli, di essere giudicata da loro e dal resto della famiglia. Poi un giorno mia madre mi ha detto: «C’è qualcosa che non va, andiamo da una psicologa». È stata una liberazione. Avevo 14 anni, la mia vita poteva iniziare a cambiare». Quattro anni dopo Alessia lascia la Sardegna, destinazione Thailandia: dopo 10 ore di intervento, si risveglia nel letto di una clinica, donna a tutti gli effetti. Ma la sua sofferenza non è finita: «C’è tanta cattiveria, le persone come me devono nascondersi perché altrimenti non sarebbero accettate. Per avere una vita “normale” devo cancellare il passato».

Il percorso. A 14 anni Alessia inizia a frequentare psicologi e psicoterapeuti, «mi hanno fatto una marea di esami per capire se fossi affetta da disturbi della personalità, se soffrissi di bipolarismo o narcisismo patologico. Niente di niente: la diagnosi ha confermato quello che già sapevo da quando andavo alle Elementari, ero una ragazzina in un corpo maschile, stretta in un genere che non mi apparteneva». A sedici anni Alessia inizia le terapie ormonali e questa è la parte più semplice: «Non ho mai avuto un pelo di barba, i miei lineamenti sono sempre stati molto delicati, la voce è rimasta quella di prima perché era già abbastanza femminile». In quel periodo Alessia è già una donna e si presenta a scuola come tale: nel registro c’è il suo nome da maschio, ma i professori e i dirigenti sono stati informati «e tutti mi chiamano al femminile».

Anche i compagni, molti diffidenti, altri più aperti, anzi indifferenti alla trasformazione: «Questi ultimi sono quelli che ho accanto anche ora». In quel periodo Alessia sta con un ragazzo, lui sa tutto di lei e non batte ciglio. Gli sta bene, almeno così sembra. Ma la storia finisce «quando i suoi genitori scoprono la verità e mi insultano, mi offendono, mi umiliano. Lui resiste un po’ ma alla fine se ne va. Io ero già diventata ufficialmente donna nel frattempo, sia all’anagrafe sia dal punto di vista fisico con l’intervento di riassegnazione del genere. Ma non è stato sufficiente, per lui e per la sua famiglia: troppo forti i pregiudizi verso “le persone come me”, non omologate al pensiero comune».

L’intervento. Cinque anni fa Alessia ha 18 anni, il tribunale ha dato l’ok alla rettifica anagrafica: è donna ma manca l’ultimo passaggio. C’è la mamma con lei nell’aereo che le porta in Thailandia, nella clinica dove Alessia farà l’intervento. «Potevo farlo in Italia gratis, ma gli specialisti più bravi lavorano lì. E con la mia famiglia abbiamo deciso di non rischiare».

L’operazione, più la degenza di due settimane, è costata 20mila euro. «I miei hanno pagato tutto. Sono stata fortunata perché vengo da una famiglia benestante e i soldi aiutano ad accelerare le cose e a farle meglio. Sarebbe da ipocriti negarlo». Di quel periodo resta il ricordo del dolore lancinante «avevo fitte insopportabili, mi davano la morfina. Poi ho iniziato a rifiutarla, mi provocava nausea, mi sembrava di soffocare. È stato stranissimo, mi sono svegliata con un organo femminile che prima non c’era, ero felice ma faticavo ad accettarlo. Ero vittima di un disturbo post traumatico da stress. Ci sta, la mia vita in effetti non è stata tra le più semplici».

Di nuovo a casa. Per diverso tempo Alessia è stata la reginetta del gossip familiare: «Cugini, zie e zii che straparlavano di me, erano scioccati da quello che avevo fatto e forse anche del sostegno della mia famiglia. Mi hanno isolata. Poi per fortuna anche qualcuno tra loro ha avuto vicende personali “particolari” e l’attenzione si è spostata: via i riflettori da me, nell’occhio del ciclone sono finiti altri. A casa mia, invece, il passato è un ricordo che rivive nelle foto di quando ero maschio, che conservo per tenere a mente la strada che ho fatto». Ora è il presente a seminare incertezza.

«Mi sono trasferita in un’altra città, ho un ragazzo: sto bene con lui, ho sentito di raccontargli subito la mia storia. Lui è rimasto stupito: ha detto che da solo non l’avrebbe mai capito. Ma ho paura. Temo che i suoi genitori possano mettersi di traverso come quegli altri, che non abbiano la mentalità sufficientemente aperta per capire il mio cambiamento, il mio percorso interiore ed esteriore. Vivo con ansia nel timore che la mie scelte possano condizionare la mia vita, la mia carriera. Mi viene in mente quel ragazzo che mi ha buttato sull’asfalto, ricordo gli insulti. Sogno un mondo libero dai pregiudizi, un mondo che mi rispetti».
 

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