La Nuova Sardegna

«Test su chi arriva per contenere il coronavirus»

di Roberto Petretto
«Test su chi arriva per contenere il coronavirus»

Il presidente della Regione Musumeci spiega il “Modello Sicilia”. Organizzazione capillare in porti e aeroporti. Coinvolti 200 medici

19 febbraio 2021
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SASSARI. Chi arriva all’aeroporto di Catania o a quello di Palermo e non può esibire un certificato di negatività al Covid frutto di un test realizzato nelle ultime 48 ore deve, obbligatoriamente, sottoporsi a tampone rapido (gratuito) nelle strutture allestite dalla Regione.

La stessa cosa avviene nei porti dell’isola e nell’aeroporto di Trapani. Questo è il “Sistema Sicilia” varato dal presidente Nello Musumeci per tenere sotto controllo gli ingressi e contenere una ripresa del contagio nell’isola.

Presidente Musumeci, come ci siete riusciti?

«Sin dalla prima fase della pandemia abbiamo prestato attenzione ai passeggeri in arrivo. Addirittura a febbraio dello scorso anno abbiamo invitato comitive di turisti del nord, già prenotati, a rinviare la loro venuta nell’isola per evitare possibili contagi. I fatti mi hanno dato ragione, al di la delle polemiche. In questa seconda fase la realizzazione di presidi negli scali aeroportuali e portuali, a cominciare dallo stretto di Messina, ha costituito uno strumento di controllo assai prezioso».

Come vi siete organizzati?

«Abbiamo iniziato il 14 dicembre. Abbiamo mobilitato centinaia di medici e di personale volontario. I medici sono stati reclutati con apposito bando. Alternati su più turni sono circa 200. Abbiamo anche chiesto la collaborazione di medici pensionati, reclutati per far fronte esigenze di esigenze di personale specializzato».

Con quali risultati?

«Negli aeroporti di Palermo e Catania il risultato è stato estremamente soddisfacente. A Catania oltre 72 mila controlli, a Palermo oltre 40mila. Alle postazioni negli scali aeroportuali, portuali e nello stretto abbiamo aggiunto anche il drive in che ha consentito a migliaia di persone in auto, e con attese assolutamente fisiologiche, di potersi sottoporre a tampone. A Catania sul 72mila controllati sono risultati positivi 170. A Palermo su 41mila positivi 198. Dimenticavo Trapani: sostanzialmente abbiamo tenuto sotto controllo gli accessi nell’isola. Questo ha rasserenato la comunità o almeno quella parte, la maggioranza, che rispetta le regole e che ha improntato la propria condotta a cautela e prudenza».

Veniamo al punto che in Sardegna viene guardato con grande attenzione: per entrare nell’isola il test è obbligatorio?
«Certamente: prima di uscire dall’aeroporto si deve passare alla postazione dei controlli».

Non avete avuto problemi col Governo?

«Il tema non ce lo siamo posti. Sono l’ultimo a poter valutare le scelte di Christian Solinas, mio collega e amico e molto attento alle sorti della sua isola . Semplicemente abbiamo ritenuto di fare ciò che ci sembrava giusto e i fatti ci stanno dando ragione. Non abbiamo avuto opposizioni da parte del Governo, anche perché di volta in volta abbiamo informato il ministro Speranza. Del resto il provvedimento base con cui il governo centrale ha dichiarato l’emergenza nazionale prevede a carico dei presidenti delle Regioni la adozione di misure più restrittive. E l’istituzione dei controlli rientra di certo tra le misure restrittive».

Chi paga questo sistema che avete messo in piedi?

«È interamente a carico della Regione che attinge ai fondi per la lotta all’epidemia».

Ci sono state tensioni con il Governo?

«Per principio sono per la leale collaborazione tra istituzioni, al di là della mia identità di uomo di destra che guida una coalizione di centrodestra. Non sono mancati momenti di frizione e di tensione specie quando non arrivavano in Sicilia i dispositivi di protezione individuale o quando si doveva discutere della opportunità o meno di apertura o chiusura di attività commerciali. Si è trattato di confronti magari animati e aspri, ma sempre all’interno di una cornice di reciproco rispetto ed è quello che chiede la gente».

Già dall’inizio avete pensato a limitare gli ingressi?

«Nella prima fase dell’epidemia, tra febbraio e maggio 2020, abbiamo ridotto gli accessi alla Sicilia del 94 per cento rispetto al traffico ordinario. Due soli voli aerei, una sola corsa di treno, niente arrivi sulla nave, se non per casi particolari e ampiamente motivati. Misure che ci ha consentito di tenere meglio sotto controllo il dato del contagio perché circoscritto alla comunità isolana».

Una chiusura che avrà avuto ripercussioni pesanti sull’economia locale...

«Le ripercussioni ci sono state, ci sono, ci saranno ancora per qualche tempo. È difficile potersi rialzare per migliaia di piccole imprese che già prima della pandemia soffrivano una condizione di fragilità. Ma confidiamo negli aiuti promessi da Roma e alla prima occasione i governatori di tutte le Regioni incontreremo il premier o il ministro che vorrà delegare per porre come prioritaria l’esigenza di sostenere gli operatori economici colpiti dal Covid».

Ora la situazione com’è?

«Continuiamo a vigilare, i numeri sono altalenanti, c’è sempre il pericolo che la maggioranza dei cittadini creda che zona gialla sia un “liberi tutti”. per questo ci sono continui appelli miei, dell’assessore alla Salute Razza, del Governo in generale, alla prudenza e alla sobrietà. Ci prepariamo per essere puntuali all’ora X della riapertura, per consentire agli operatori economici di prende una boccata d’ossigeno. Tutto è legato alla possibilità di vaccinare prima possibile la stragrande maggioranza dei siciliani. Rimane un grande punto interrogativo: non sappiamo quando e in che quantità arriveranno le fiale. Abbiamo iniziato a spron battuto, siamo stati tra i più veloci elaborando un piano, creando punti di vaccinazione, assegnando personale. Poi tutto si è rallentato e ora siamo in attesa di capire quali programmi verranno adottati per le prossime settimane».

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