La Nuova Sardegna

Covid, Nuoro: 30 ore in ambulanza davanti all’ospedale

Giusy Ferreli
L'ospedale San Francesco a Nuoro
L'ospedale San Francesco a Nuoro

Odissea per un’84enne di Urzulei positiva al virus. I familiari: «Trattata come un pacco postale»

04 aprile 2021
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NUORO. Per i pazienti Covid in attesa di un ricovero è stato un venerdì di passione. In una delle ambulanze ferme di fronte al San Francesco di Nuoro c’era anche un’anziana donna ogliastrina, un’86ene di Urzulei che prima di entrare al pronto soccorso ha dovuto aspettare oltre trenta ore. «Mia zia, paziente allettata e affetta da importanti patologie, è incappata in una situazione kafkiana che noi familiari vogliamo denunciare – racconta Gianfranca Piras che ripercorre le tappe di questa via crucis laica. La prima avviene in Ogliastra.

«Il primo aprile – dice la nipote –, a causa dell'aggravarsi delle sue già precarie condizioni di salute, il medico di famiglia decide di inviare mia zia all’ospedale di Lanusei per accertamenti». Qui viene sottoposta a tampone e l’esame, sfortunatamente, dà esito positivo al virus. Dal Nostra signora della Mercede viene trasportata, in ambulanza, al San Francesco di Nuoro, unico presidio Covid della provincia. Nulla di strano, anzi si tratta della normale procedura se non fosse che l’ospedale è di nuovo in emergenza. L’anziana viene trasbordata per oltre tre volte in altrettante ambulanze diverse e qui rimane per più di una giornata.

«Resta in ambulanza come un qualsiasi pacco postale, senza alcun accertamento diagnostico, per ben trenta ore», racconta ancora la nipote che decide di chiamare i carabinieri. E si lascia andare ad un lungo sfogo. «Oltre all'impotenza, che in questi casi attanaglia noi congiunti, assistere al rimbalzo di responsabilità tra i due ospedali con una paziente che per ben due giorni viene totalmente ignorata, ci amareggia. Ma ancor di più ci amareggia pensare che questo caso, emblematico dello sfascio della sanità, sia purtroppo comune ad altre situazioni». Lo sfogo diventa una durissima accusa quando i familiari vengono a sapere che la loro zia verrà dimessa non appena si conoscerà l’esito dei tamponi sui familiari che vivono con lei. «Mi hanno detto che poteva essere seguita a casa. Ma come è possibile assistere una donna che, oltre a un quadro clinico grave, ha anche contratto il virus? Noi non ci rassegneremo e denunceremo con forza la nostra rabbia e il nostro disappunto per una situazione così incresciosa. Vogliamo sia resa giustizia al trattamento al quale nostra zia è stata sottoposta – incalza Piras. Il suo non è un atto di accusa contro medici e infermieri ma contro un’organizzazione che non riesce a garantire l’assistenza.

«In tutta questa triste vicenda – conclude – non possiamo che ringraziare dal profondo del cuore i tanti volontari del soccorso, che si sono prodigati con grande generosità e dedizione, e chi in ospedale ha compensato l'assoluta carenza del sistema». Un sistema che, se solo uno dei suoi familiari fosse positivo, dimetterà una paziente fragilissima mentre l'undicesimo piano, secondo reparto Covid del San Francesco, sino a ieri era ancora chiuso.
 

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