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Dalla scalata a un passo dal crac la parabola discendente di Onorato

di LUCA ROJCH
Dalla scalata a un passo dal crac la parabola discendente di Onorato

Una situazione finanziaria complicata per la società che garantisce i collegamenti in continuità tra la Sardegna e la penisola. Anche perché il rosso è il colore naturale dei conti di Tirrenia....

15 aprile 2021
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Una situazione finanziaria complicata per la società che garantisce i collegamenti in continuità tra la Sardegna e la penisola. Anche perché il rosso è il colore naturale dei conti di Tirrenia. Quando nel 2011 la compagnia di Stato viene privatizzata ha un buco di 660 milioni di euro. Per ripianarlo gli allora commissari mettono all’asta qualsiasi cosa, anche 120 dipinti di pregio, valore complessivo un milione di euro. La Compagnia italiana di navigazione, composta da Marinvest (Gianluigi Aponte), Moby (Vincenzo Onorato) e Grimaldi, si aggiudica la Tirrenia. La bad company, con 800 milioni di euro di sofferenze, rimane nelle mani dello Stato. Ma l’accordo tra i tre signori dei mari dura poco. Nel 2014 Onorato scala la Cin e con 100 milioni di euro liquida gli altri soci e fa sua la compagnia.

E lo fa con un’operazione complicata. I soldi Onorato li trova utilizzando Unicredit come advisor. Il compito era trovare un fondo di investimento che finanziasse l’operazione. E nello stesso tempo l’armatore napoletano deve gestire anche la situazione finanziaria. Nel 2015 Moby era esposta per 200 milioni di euro, Tirrenia era stata sgravata del profondo rosso prima della privatizzazione, ma doveva restituire un prestito da 80 milioni. Ma insieme le due compagnie avevano un fatturato da 600 milioni di euro, con un margine operativo lordo da 140 milioni. E Onorato era diventato il quasi monopolista delle rotte tra la Sardegna e la penisola, in particolare nel porto di Olbia, che già controllava.

Perché Onorato, che timonava già la Moby, punta a fare tutta sua l’ex compagnia di Stato? Nessun intento filantropico, Tirrenia ha in dote un tesoro liquido, 72 milioni di euro all’anno, che fino al 2020 lo Stato garantisce per la Continuità territoriale. E di quel tesoretto il gruppo Onorato ha bisogno anche per rafforzare la sua leadership sul mercato italiano. Ma in questi anni di gestione diretta il “Mascalzone latino” non è riuscito nell’impresa fallita da tutti i predecessori: raddrizzare i conti della Tirrenia. Anche perché il mercato tra crisi economica globale, bolla del caro carburanti, e pandemia mondiale non ha aiutato la compagnia. Ma il quadro finanziario del gruppo Onorato si complica anno dopo anno. I 180 milioni che dovevano essere versati allo Stato per l’acquisto della Tirrenia non sono mai stati versati. Nel frattempo il gruppo si è finanziato con un bond da 300 milioni a scadenza 2023. Bond finito nelle mani degli hedge fund, i fondi speculativi, che non hanno mai mostrato nessuna comprensione per lo stato economico complicato in cui si trova il gruppo. Tanto da arrivare a far finire il colosso Tirrenia-Moby in amministrazione controllata. In mezzo il tentativo di vendere due navi della flotta Moby, bloccato proprio dai creditori, perché gravate da un’ipoteca di Unicredit. Ma anche il commissionamento del gruppo di due maxi navi ai cantieri cinesi. La compagnia dei traghetti è finita in default, dopo che non ha pagato a inizio 2019 né la cedola sul bond da 300 milioni di euro, con scadenza 2023, né gli interessi dovuti sulla linea di credito «revolving» da 260 milioni.

Ora deve cercare di restare in linea di galleggiamento, anche perché ci sono diversi fattori che si intrecciano. In questi anni il gruppo Onorato ha sempre confidato in una delle leggi cardine del mercato capitalistico: too big to fail, troppo grande per fallire. Sul tavolo ci sono i 6mila dipendenti che rischierebbero di perdere il posto di lavoro. Accanto c’è il tema del diritto alla mobilità dei sardi e del traffico merci. La continuità territoriale, scaduta dal 2020, va avanti in regime di proroga, e considerando i tempi lenti della politica questa proroga sembra destinata ad andare avanti almeno per alcuni anni. E la continuità marittima, nell’attuale modello, è affidata alla Tirrenia, che prende 72 milioni all’anno per garantire il servizio. Con l’affondamento del gruppo le rotte sarebbero lasciate nelle mani del libero mercato e per i sardi non ci sarebbero garanzie né sul costo del biglietto, né sulla frequenza delle corse. Questi due argomenti hanno fatto da salvagente naturale alla compagnia. C’è anche l’abilità politica di Onorato che in questi anni ha stretto rapporti con il centrosinistra, con il centrodestra e con i 5 Stelle. Basta ricordare quando nel 2015 dal palco della Leopolda di Renzi aveva lanciato la rivoluzione dei biglietti a 14 euro per arrivare in Sardegna per tutti i sardi. Anche se l’offerta speciale forse non è stata proprio onorata.



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